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Marocco in 4 giorni: Da Fes a Chefchouen

Marocco in 4 giorni: Da Fes a Chefchouen

Appena concluso un tour del Marocco di 4 giorni, da Fes a Chefaouen, passando da Volubilis, Meknes e Bahlil

Il diario è pieno zeppo di sensazioni e immagini, come anche i miei occhi. Ma prima di trascriverle, vorrei fare un paio di premesse.
La prima in assoluto, quella più importante, è che io non sono una guida turistica.

Non faccio elenchi di città, musei, monumenti, ristoranti. Nemmeno la storia della città. Ancora meno spiego i perché di una cosa piuttosto che di un’altra. E non sono una Travel Blogger. O meglio si, ma non una di quelle che vanno tanto adesso. Non sono figa, ne’ tantomeno fotogenica, quindi nessuna foto su sfondo bellissimo con il braccio teso all’indietro verso il fotografo, nessun outfit pazzesco da sfoggiare per le viuzze delle città visitate e no non bevo FitTea, sono ferma ai 58 kg da quando ho compiuto 26 anni, nulla mi può schiodare da li.

Io viaggio e racconto il mondo che vedo, come se lo raccontassi a me di nuovo tra qualche anno. Perchè scrivere nel diario è così per me, da sempre. Scrivo e posso rileggere e rivivere quando voglio.  

La seconda premessa, anche se non meno importante, è che questo viaggio mi è servito sotto molti punti di vista. Come qualcuna saprà e qualcuna no, è stato un anno impegnativo.. ho conosciuto gli attacchi di panico e come faccio sempre, ci ho scritto su. Scoprendo che non solo non ero la sola, ma che anzi, la maggioranza li aveva già conosciuti prima di me.

Beh per uno che ama viaggiare, o ‘vivere’ in generale, il panico è una tortura. Una cosa che prima avresti fatto ad occhi chiusi, ora diventa una sorta di Everest da scalare in infradito.. nella tua testa. E basta. Perché nella realtà è ancora una cosa che potresti fare ad occhi chiusi. Ma non lo sai. Perché la paura è una merda che ti offusca tutto.

‘Viaggiare? No non posso farlo, non ce la faccio. E se sto male in aereo? O in macchina? E se gli altri non comprendono cos’ho? NO, non posso farlo.’
Invece come direbbe Frankestein Junior: SI PUO’ FARE!

Ci tenevo a dirlo, soprattutto a tutte quelle ragazze che mi hanno scritto dopo aver letto quello che avevo scritto sulla paura, di quanto si sentissero sole e invalidate a fare le cose che più amavano fare. E’ vero sembra impossibile farsela passare e ritornare ‘Normali’. Ma sappiate che abbiamo solo paura di ‘ipotesi’, di un ‘E se..’. La realtà è molto diversa…

Beh faccio prima a iniziare a raccontarvela.  

E DUNQUE BUON VIAGGIO!

marocco aereoporto fes

Fes, 29/09/2018

Arriviamo all’aeroporto di Fes al tramonto, e che tramonto. Ma anche fosse stato un cielo nero o ‘normale’, il mio cuore sarebbe stato comunque strabordante di quell’aria frizzante che ti riempie i polmoni appena metti naso fuori dal un aereo .

In aeroporto tra un controllo e l’altro abbiamo iniziato a fare amicizia con gli altri membri del gruppo, con i quali avremmo condiviso il viaggio. Pochi, ma a mio parere buoni.
Ci è andata di culo in sostanza.
Mentre una volta fuori abbiamo conosciuto anche Lisa, che sarebbe stata la nostra guida oltre che organizzatrice del tour.  

Personalmente odio i tour organizzati e quindi le guide. Non amo viaggiare in compagnia, tantomeno con qualcuno che mi dice ‘dove andare e cosa fare’, quindi ero molto scettica inizialmente. Soprattutto perché viaggiare è una delle cose al mondo alle quali tengo di più, quindi se non fosse andata bene, mi sarei, come dicono in Francia, mangiata una merda.
Io viaggio sola e nella mia testa, la concezione di guida, è un locale, conosciuto per caso una sera, ci bevi qualcosa assieme e che si offre di farti vedere la ‘sua’ città. Solo cosi secondo me puoi davvero ‘viverti’ una città che non sia la tua. D’altronde se ci pensate, quando vedete un turista nella vostra città, mentre fotografa la statua o la chiesa più importante, non vi viene subito da pensare che non è così che può conoscere davvero la città..  e che voi sì che gli fareste davvero assaporare la vera vita del posto, se gli faceste da guida?

Farsi raccontare una città, come voi raccontereste la vostra.

Questo vorrei da una guida. E quasi mai è così… ore e ore passate ad ascoltare spiegazioni sul perché la facciata di questo o quel palazzo siano di un colore o di un altro.  DU COIONI.

Quindi come dicevo, nella mia testa i tour organizzati non sono contemplati. ANZI.

Con Lisa mi sono dovuta ricredere. E’ stato come fare un viaggio con un’amica di vecchia data, che vive qua da molto tempo e decide di ospitarti per qualche giorno. Nessun tempo morto, nessuna spiegazione pallosa e soprattutto nessun vincolo, di nessun tipo.

Arriviati in Riad, (l’equivalente del loro albergo, ma in stile arabo) abbiamo semplicemente lanciato le valige nelle stanze e nonostante la stanchezza, siamo usciti. Non vedevo l’ora. Chi viaggia conosce quella sensazione. Quella impazienza di mettere a confronto la realtà, con ciò che ci siamo solo immaginati fino al giorno della partenza.

Ecco, diciamo che non è andata proprio benissimo la prima sera.

Eravamo in cinque quindi ero tranquilla, ma ammetto che se fossi stata da sola, la passeggiata notturna per le vie della Medina (il centro storico), per quanto affascinante, l’avrei saltata a pie’ pari. Nonostante Lisa ci avesse detto che non c’era nessun motivo per avere paura (e probabilmente aveva ragione), ma a sensazione… mmm anche no!!! Avevo meno paura girando da sola a New York.. ma ripeto, sono sensazioni semplicemente.

Durante il giorno c’è il mercato, cioè un vero e proprio marasma di gente, profumi e negozietti a misura d’uomo. La sera invece, quando le bancarelle chiudono,  rimane solo sporcizia e desolazione.. Ma più sporcizia, molta sporcizia. Madò che snobdimerda che sembro quando dico ste cose, manco fossi la Regina della casa io poi… No, però non mi piace nemmeno far finta che non sia stato quello il mio pensiero. Il punto é che noi siamo abituati ad una realtà, molto diversa dalla loro, sotto molti punti di vista.. E la pulizia é uno di questi. 

Poi gruppetti di persone sparpagliati qua e là a fare.. A fare.. 🤔.

Mmm, ad essere onesta ora che ci penso non saprei dire cosa facessero. So che non bevono alcolici, ed essendo io veneta non riesco quindi a trovare una spiegazione al perché si trovino ad uscire alla sera..

Vabbè comunque dicevo.. Sporco, gruppi di gente astemia.. E gatti. GATTI EVERYWHERE. Se siete dei gattari, dovrete combattere giornalmente contro il vostro istinto, di toccarli o addirittura di aiutarli, quando in un vicolo buio e stretto vi passerà a fianco un micio di circa 3 giorni, con gli occhietti ancora chiusi e tutto spellachiato, in cerca di qualcuno che possa fargli capire dove si trovi e perché in quelle condizioni. OHMIODIO MACHE CARINOOOOOO, VIEN…NO, NO NO RESTISTETE!

Si insomma ok, diciamo che la prima sera non sono rimasta proprio positivamente colpita.. 

La notte però, porta via comunque la stanchezza e nel frattempo gli asini netturbini  portano via la spazzatura. Asini netturbini si, non ho sbagliato a scrivere, sono proprio asini che passano di notte per le vie e tirano su le immondizie lasciate durante il giorno. Da non confondere con gli asini fattorini, che portano a casa la spesa dal mercato. O gli asini tassisti..

Ma comunque… dopo l’originale sveglia che usano loro alle 5.25 del mattino, ovvero il richiamo alla preghiera fatto dal Muezzin, che a mio parere è stato più un richiamo alla bestemmia…. (5.25 DEL MATTINO. MA Scherziamo!??) Ci aspettava la  colazione marocchina dalla splendida terrazza del Riad, allego foto, perché con molta umiltà devo ammettere che non saprei descrivere la bellezza del momento in cui abbiamo fatto l’ultimo scalino e siamo usciti sul tetto. Avete presente le mattine d’autunno, ma non ancora fredde, semplicemente tiepide, il sole ancora molto molto timido, che illumina un po’ alla volta tutti  i tetti, i panni stesi, i campanili.. e il classico silenzio della domenica mattina, quello di una città che si sveglia con un po’ più di calma rispetto al caos della settimana. Ecco così.

colazione marocco

Tavolti rotondi, cuscini, caffè, the alla menta, burro, marmellate e Msemen a volontà (pancake marocchini di cui avrei fatto volentieri indigestione).

colazione fes marocco tetto riad

I momenti che ti fanno dire ‘

CAZZO MA QUANTO BELLO E’ VIAGGIARE????

Finita la colazione eccezionale, raccattate le valige (raccattate è italiano? O veneto? Boh vabbè, secondo me  avete capito ugualmente) e via fuori immediatamente.

‘SCUSATE MA… SIAMO NELLA STESSA CITTA’ DI IERI SERA?’

Non so cosa fosse successo nella notte in città, ma al mattino aveva cambiato totalmente aspetto. Come le persone che conosci in discoteca  e che se le rivedi la mattina ti domandi ‘Ma quanto cavolo avevo bevuto ieri sera?’. In ogni viaggio mi succede, e in ogni viaggio lo racconto. C’è sempre la giornata ‘No’, nelle quale ti ritrovi un po’ delusa da tutto, o magari piove o magari hai gli ormoni a palla e piangi a caso, ma la città, non si capisce come, in un modo o nell’altro riesce sempre a recuperare.

Nel caso di Fes ha avuto molto tempo per recuperare, perché il programma del primo giorno era arrivare a Chefchaouen, detta La Perla Blu del Marocco, loro dicono che sia per il colore blu che la caratterizza, ma secondo me è semplicemente perché nessuno è mai riuscito a pronunciare correttamente il nome. Ma io che sono vostra amica vi scriverò la pronuncia, cosi potrete impararlo subito e non fare le figure di merda che ho fatto io per circa un mese.

SCEF-SCIO-UEN.

Generalmente non amo i traggitti troppo lunghi in macchina, soprattutto in un periodo come questo, dove gli attacchi di panico la fanno da padroni. Quindi l’idea di farmi 4 ore di viaggio, in macchina con persone, ancora estranee, lontanissima da casa e in posto nuovo, non mi entusiasmava, per non dire ODDIO CHE ANSIAAA!

Invece, tra lo scrivere, paesaggi incredibilmente belli e qualche sosta per visitare bancarelle disperse in strade in mezzo al nulla.. non mi sono nemmeno accorta del tempo che passava.

MA, può essere anche che il mio cervello abbia subito un blackout, quando ad un certo punto dalla autoradio è partita ‘WWW mi piaci tu’ dei Gazosa. Sì, avete letto bene. WWW MI PIACI TU DEI GAZOSA???? In mezzo al nulla cosmico di una strada del Marocco?  SI.

Credo che a Cartesio sia successa una cosa simile quando si domandò ‘Sogno o son desto?’

Quindi si, può essere che le ultime tre ore di viaggio, il mio cervello le abbia passate ad elaborare la cosa, cercando una spiegazione logica. Chiaramente impossibile da trovare.

I Gazosa?? QUI?! Boh vabbe..

Marocco in 4 giorni: Da Fes a Chefchouen

Chefchouen, 30/09/2018

E beh, se ci andate, mi sento di consigliarvi due cose.

La prima, svuotare la memoria del cellulare, più che potete, perché ogni tre passi vi verrà voglia di fotografare qualsiasi cosa.

La seconda é NO FOTO NO FOTO NO FOTO, alle persone. Nella loro cultura, le foto rubano l’anima, (un po’ come da noi d’altronde!). Quindi quando vorrete fotografarli, facendo finta di fotografare altro (fine!), sappiate che loro se ne accorgeranno.. E ve ne accorgerete anche voi quando vi malediranno al grido di ‘Allah’nima delimortaccitua”.  

marocco persone chefchouen

Ciò nonostante rimane comunque la città più affascinante di questo viaggio. Sì ‘ affascinante’ credo sia la parola più adatta.

E’ blu. Tutto estremamente, blu. Fin troppo blu. Ad un certo punto, mi sono addirittura chiesta (vista la quantità industriale), perché non pitturassero anche i gatti di blu, per renderli più caratteristici.

Marocco in 4 giorni: Da Fes a Chefchouen

DRIN DRIN DRIIIN. ORA DI PRANZO. Ebbene si. E siccome per me, uno dei piaceri del viaggiare è proprio provare gusti nuovi, siamo andati a magnà. Sempre ovviamente su consiglio di Lisa e del ragazzo che ci stava facendo da guida quel giorno (.. e li ringrazio per questo).

Segnatevi assolutamente questo nome CAFE’ CLOCK. Tutto buonissimo, ma due le cose da provare nella maniera più assoluta:

  1. L’hamburger di cammello. (introvabile nel resto del paese e sì, non che da noi si trovi facilmente). Delizioso e cucinato in maniera impeccabile.
  2. Bevanda semplicissima dellaqualenonricordoilnome, ma da 10 con lode. (Provate con: Fresh Mint Lemondade. Che voglia se ci penso!)
marocco cosa mangiare carne cammello

Ammetto che ero molto, molto scettica per quanto riguarda il mangiare. Non sono una schizzinosa, anche se nessuno schizzinoso dice mai di esserlo, ma io non lo sono, si ok anche questo lo dicono tutti, BEH IO MANGIO TUTTO. Avevo semplicemente timore di passare il tempo restante del viaggio sulla tazza. Son sincera, non sono proprio il massimo dell’igiene le loro cucine, quindi SI ERO SCETTICA. Beh mi sbagliavo. O comunque occhio non vede..  

Consigliatissimo : Cafe Clock, 3 Derb Tijani, Chefchouen.

Per smaltire il tutto, ma soprattutto per fare indigestione di blu, siamo usciti. E abbiamo iniziato a camminare. Dove capitava; vicoli, bancarelle, piazzette, case.. tutto rigorosamente in tinta. Tutto fottutamente colorato ed estremamente bello.

Soprattutto se riuscite a intravedere qualche scena di vita quotidiana.. Quando non cercano di vendervi qualcosa.

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Qualche anziano seduto, le donne intente a sbucciare fichi d’india o qualche bambino che torna verso casa con il pallone sotto il braccio.. Ecco in quel momento potrete vedere il quadro generale e non più solo il quadretto dipinto di blu, che vendono al negozio di souvenir.

Questo è quello che mi aspetto da un viaggio, scoprire una realtà che non è quella che conosco e nemmeno quella costruita ad hoc per i turisti. Voglio conoscere la quotidianità di altre parti del mondo. Voglio vedere l’anziana andare a fare la spesa con il mulo, o il fornaio sfornare il pane e riporlo su un carretto che porterà poi in giro per tutto il paese, o due gatti randagi dormire avvinghiati dormire sopra un borsone in pelle venduto in una bancarella…

gatti pelle fes randagi marocco

Prossime tappe, Volubilis, Meknes e Bahlil. (per leggerle QUI)
Che non avevo mai sentito nominare (capra capra capra) prima d’allora..

Ringraziamento doverossimo a ‘‘In Marocco con Lisa” 

Trovare il proprio posto nel mondo

Trovare il proprio posto nel mondo

Non ce la faccio piu”
Il lavoro, le scadenze, gli impegni, i figli, compleanni, cene, battesimi, matrimoni, la palestra..
Quando la routine ricomincia a girare, ci rendiamo conto di quanto ci incastri, solo quando non riusciamo più a starci dietro.
E allora ci serve  qualcuno che ci dica “Ohi passo a prenderti alle 17 e partiamo”.

Una giornata di sole, ma con nuvoloni neri che ogni tanto passano ad oscurarlo, come nella vita insomma..

Un bosco.

E un sentiero.

Camminando troverai un posto, nel quale sentirai il bisogno di fermarti. E semplicemente ti fermerai.

Trovare il proprio posto nel mondo

Quell’insieme di suoni talmente coordinati da sembrare un unico silenzio perfetto. Quella luce che passa tra gli alberi. Qualche ragnatela illuminata. Qualche foglia che inizia a cadere.
E quegli alberi fitti.. Tutti intorno, che sembra vogliano dirti che ci sono loro a proteggerti e che  puoi tornare a respirare per un po’.
E allora respiri.. Profondi.
E capisci che a volte  ci serve semplicemente un posto, per continuare a farcela.
Un posto.

Il tuo posto nel mondo

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Amsterdam viaggio sola Mai na gioia is the new Black

Amsterdam ancora

Amsterdam 

… dov’eravamo rimasti?

03 Dicembre 2017

Oggi va già meglio. Il clima da tregua, c’è freddo, nebbia, pioviggina un po’ ed è brutto.. no ok, forse solo io sto meglio oggi. Il tempo fa schifo uguale.

Non so, ma oggi sembra essere partita decisamente meglio. Meno stanchezza addosso, ma soprattutto ho fatto quello che faccio sempre, e che avrei dovuto fare anche ieri; ho spento internet, cuffie alle orecchie e ‘play’ sulla mia playlist. Cartina in tasca e via.

E lo so che sembra una cazzata, ma è anche per questo che nei viaggi da sola riesco a vivermi di più le città. Le sento.
Perché la musica, cambia il modo di vedere le cose. Un po’ come il vino. Forse per questo amo entrambi.

Ma dicevo.. Ho fatto una passeggiata a Vondel Park, una sorta di Central Park in miniatura. Ok il clima non è dei migliori per passeggiare nel parco, ma l’atmosfera domenicale si sente tutta.
L’ho attraversato tutto e … NO NO ALT!

Sono dentro uno splendido locale, seduta ad un tavolino fronte strada e proprio mentre stavo mentalmente dicendomi ‘Non posso tenere le cuffie mentre sono seduta in un bar, è da maleducati!’ è partita una delle canzoni della mia playlist proprio dalla radio del locale.
Quante probabilità ci sono? Tante, se si fosse trattato di musica commerciale.. ma non lo è.
(Ovviamente come sempre, a fine racconto pubblicherò, seppur gelosamente, la mia playlist.)

Ecco beh, a me queste cose lasciano sempre una strana scia addosso. Come se fosse, una sorta di ‘segno’!

OMIODIO!! DUE CANZONI! D U E C A N Z O N I.
Qualcuno si prende gioco di me!?

Vedi.. lo dico sempre. Le città sanno sempre come ‘recuperarti’.
Mi godo il momento, senza cuffie.
Caffé. Torta alla banana. Il mio diario.24989588_10213560670305354_872338847_n

Giornata all’insegna della più totale libertà. La bellezza di non avere un programma. La bellezza del rendersi conto di cosa significhi avere del tempo libero, che sia realmente tale.
Musei mi ero ripromessa di non visitarne, chiese nemmeno, ed essendo ad Amsterdam nota principalmente per questo (…si ok anche per i negozi di caffè.), non mi è rimasto che vagare.
E credo di averla girata veramente tutta. Evitando clamorosamente le vie principali, intasate di shopping natalizio. Mi sono persa per le viuzze laterali.

Quiete, bici e vetrate a vista.  25139095_10213560668265303_2140704730_o.jpg
Splendide vetrate a vista.
Lei al suo portatile, lui accanto sul divano e il gatto a guardare fuori dalla finestra.
La Domenica di Amsterdam.
Me ne sono innamorata.

Volevo anche cercare un posto, che meritasse la vista dall’alto. E proprio mentre mi avvivavo verso un posto consigliatomi, ha cominciato ad uscire un debolissimissimo sole.

Chiaramente appena sono uscita, ha ripreso a piovere, ma nulla di drastico. Ma forse non me ne sarei nemmeno accorta fosse scesa a secchiate… ero totalmente assuefatta da Amsterdam (infelice scelta delle parole si).

Stranamente non sentivo la stanchezza, a differenza del mio telefono che aveva bisogno di ricaricarsi. Breve sosta in ostello e poi a piedi tour dei canali.

Ero consapevole che sarebbe stato un giro infinito, ma alla fine nella scelta la barca e le mie gambe, hanno vinto le gambe.
Volevo più libertà!
Ed è stato giusto così probabilmente. E’ stato splendido. Amsterdam di sera è qualcosa di eccezionale.

amsterdam luci Camminando sono anche passata, per il quartiere a luci rosse. Anche lì vetrate a vista e zero tende per la privacy, ma scene leggermente meno poetiche di quelle che vi raccontavo prima.

Tra l’altro non so perché, ma nella zona dei Coffe Shop, io mi aspettavo scene apocalittiche, tipo festini di Silvio ai tempi d’oro. Gente sui tavoli a ballare, gente per strada denudata, Giucas Casella in testa ad un trenino cantando Maracaibo per le strade della città seguito da Snoop Dog.
Invece nulla di tutto ciò.
Solo occhi rossi alla Twilight e tanta pace.

Sono anche arrivata alla famosa scritta Iamsterdam. La foto seppur di rito, volevo farla.
‘Aspetto che si tolga di mezzo sto ragazzo. E poi sta ragazza..
Dai bambini spostatevi un attimo devo fare la foto.
Nooo la comitiva di turisti. MA TUTTI ADESSO?!
Non riuscirò mai a fare la foto…’ 25086566_10213560668345305_2017228834_o.jpg

Così per 20 minuti, sotto la pioggia. Finché non mi sono resa conto che bastava farla dall’altro lato al contrario, dove nessuno si metteva.
E poi girare la foto.
Un genio lo so.

Ma tornando al mio tour, gli ultimi 3km credo di averli fatti totalmente d’inerzia. Almeno fino a che non ho trovato un locale tipico dove mangiare. Nulla di che, ma indubbiamente qualcosa di nuovo al mio palato.
Breve passeggiata per smaltire e.. sono arrivata all’ostello 😑. Ma come?! Senza cartina?! Senza navigatore? Com’è possibile? C’ho messo 3 ore l’altro giorno anche con le indicazioni.
Culo sicuro. Anche perché mi conosco, so che se ci riprovassi probabilmente arriverei all’ostello dove alloggiavo a Stoccolma.

04 Dicembre 2017

Ultimo giorno.
E piove ovviamente, come in un qualsiasi Lunedì che si rispetti.
Oggi un po’ di stanchezza mista all’acido lattico la sento, quindi ne approfitto per consumare l’abbonamento ai mezzi.
Preso il famoso tram 2.
Quello che fa il giro completo.
Volevo vedere la periferia. Troppo facile innamorarsi del centro della città, addobbato a festa.

Tra l’altro avevo notato questa cosa delle case, tutte strette e altissime, e tutte con un gancio appeso sopra l’ultima finestra. Lì per lì non mi ero fatta molte domande a tal proposito.
Poi però ieri vagando a caso per un quartiere, ho avuto l’illuminazione.

Una persona affacciata al balcone del secondo piano e una davanti al portone d’ingresso, intente a sollevare un divano proprio con una sorta di carrucola attaccata a quel gancio.
Neanche da dire che sono rimasta a guardarmi tutta la scena.

Case piccole, scale strettissime e ripide. L’unico modo per far arrivare ai piano superiori qualcosa di pesante o ingombante, è proprio quel gancio..
Ecco beh… ora lo so.

Per quanto riguarda la periferia, nulla a che vedere con il centro. Casermoni e un silenzio incredibile.

Mi sono comunque goduta l’ultimo giro.
Il tempo di fare il tragitto al contrario ed era già ora di recuperare armi e bagagli.

Mi hanno chiesto che voto darei ad Amsterdam.
Ho risposto ‘ Ci scrivo su qualcosa per fare mente locale e decido.’. Mi tocca ora.
Però non l’ho ancora vista in primavera, con i suoi mulini, i tulipani e soprattutto il sole.
Facciamo che mi riservo il voto per il secondo round. 😎

Come promesso:
Per chi ha Spotify https://open.spotify.com/…/…/playlist/77KqMiDZi6a9dz3OBAs77f

Per gli altri J
The Parklands – Jimbo Scott
Dreams – Fleetwood Mac
Head On – Man Man
Feels like we Only Go Backwards – Tame Impala
Come to me – Lili & Madeleine
Impostors – The fratellis
Portinos For Foxes – Rilo Kiley
Lost it to trying – Paper Town
Such Great Heights – The Postal Service
Banana Pancake – jack Johnson
These Streets – Paolo Nutini
Atlas Hand – Benjamin Francis

viaggio weekend amsterdam

Un weekend ad Amsterdam

amsterdam 02 Dicembre 2017

Sono qua da boh, forse 5 ore e mi sembra di esserci da giorni.
Primo viaggio sola dopo tre anni, mi sono concessa il lusso di vagare a caso per la città per circa 3 ore, così per testare se c’era empatia tra noi.

Beh sapete una cosa? Non sento nulla. Letteralmente.
Sono completamente ibernata.
Splendida giornata di nebbia, così giusto per non farmi sentire la mancanza di casa (…).
E proprio per sentirmi come a casa alle 16 ho deciso che era arrivato il momento di fermarmi per riprendere quantomeno la sensibilità di mani, piedi e sentimenti.
Chiaramente da veneta volevo partire (per scaldarmi eh, non per attaccamento agli alcolici) con un’ombra, ma erano le quattro di pomeriggio, mi faceva brutto palesarmi cosi subito agli olandesi… e poi checazzo 6€ per un’ombra?!
Non glieli avrei dati manco fossi stata Peter Pan.

In ogni caso, ammetto che freddo e gelo, hanno un po’ gelato anche il mio entusiasmo iniziale. Io amo il cielo scuro, magari non proprio la pioggia battente quando sei per strada, ma non disdegno il brutto tempo… purtroppo però devo ammettere che il sole cambia tutto, le città, le persone e anche l’umore. E dunque, come direbbe qualcuno ‘Non girava proprio..’.

Quando sono uscita dal locale per avviarmi verso l’ostello, era già orario di aperitivo, no vabbè volevo dire che la luce aveva già iniziato a scendere.. per così dire, visto che Amsterdam sotto Natale è una colata di lucine che perfino Babbo Natale secondo me un po’ si stizzirebbe.
L’idea era tornare in ostello, mettermi all’incirca altri 16 strati di vestiti addosso, come quando in aeroporto la valigia pesa troppo e tu decidi che piuttosto che lasciare là anni di shopping ti devi far stare tutto addosso, e uscire poi per la cena.

Tornare in ostello? AHAHAHAHAHAHA.

Mi sono persa.
Ovvio.

Avevo la cartina, che fa sempre molto Hipster, ma era troppo buio e avevo le mani troppo ghiacciate per tenerla su. Avevo anche Google Maps che fa sempre molto persona normale, ma continuava a dirmi ‘Continua in direzione sudovest per 600m.’, ma io non sono Magellano e dopo la terza volta sono schizzata male e l’ho mandato a cagare al grido di ‘Ma si, goditi a pieno la città in maniera totalmente naturale, dove vai vai.’

Ma dove vai vai cosa? COSA? Che siamo a –4.
21 km.
V E N T U N O chilometri a piedi mi sono fatta.

Sono arrivata in ostello assomigliando tantissimo a Jack Nicholson in Shining. Chiaramente nella scena finale.

Imbottita di vestiti, caffè, scarabocchiato due/tre cose nel diario e via di nuovo.
Ero effettivamente stanca morta, un po’ per la sveglia alle 4, il freddo, i km e soprattutto quella sensazione ‘Di viaggio’. Non saprei come chiamarla, non so nemmeno se sono l’unica a provarla.. io amo viaggiare, lo amo davvero, penso sia lo scopo per il quale lavoro, per potermi permettere qualche ‘fuga’ ogni tanto, che mi faccia sentire appagata dalla vita, che mi faccia sentire viva e parte di un modo che piano piano sto scoprendo, che poi altro non è che lo scopo principale per il quale la maggior parte della gente viaggia. (VIAGGIA, non ‘va in vacanza’); ecco beh la sensazione del primo giorno di viaggio, aspetti aspetti aspetti e poi arriva quel giorno, ed è pieno di ansia, emozione, gioia, aspettative e mille altre cose.. ecco quella sensazione, crea stanchezza. Quella stanchezza.

Ma volevo uscire. Volevo Amsterdam. Il centro dell’Europa. 24956795_10213546539912103_1147622866_o.jpg

Quindi fuori, boccata d’aria gelida, ma ‘Freddo nun te temo più’ e via.. un labirinto di stradine, canali e case strettissime tutte uguali e diverse.
E di quelle, mi sono innamorata.
Fin da quando ero piccola, la cosa che amavo più fare era guardare la ‘vita’ dentro le case illuminate alla sera. La quotidianità degli altri. Il rientro nella comfort zone, dopo una giornata nel mondo. Lo trovavo confortante. Le librerie, i fornelli accesi, un cane che gironzola per casa.. non saprei spiegare.

Ecco beh, Amsterdam mi ha fatto tornare bambina. amsterdam finestre illuminate
Le case (TUTTE) alte e strettissime, sono dotate di di grandi vetrate a vista. Zero tende, o forse qualcuna ma comunque aperta a metà, per dare solo una mezza parvenza di privacy.
Se lo facciano per tradizione o per esibizionismo non lo so, ma è uno spettacolo.
Case perfettamente arredate, case disordinate, gente che cena con amici, gente che suona la chitarra, chi legge, chi scrive.. tutto ‘in vetrina’.
Ripeto, uno S P E T T A C O L O.
Ed è stato amore.

In questo loro ostentare il design sono molto simili agli svedesi, così come anche per l’abuso delle biciclette.
SI BEH.. anche qua vorrei dire: tutti tecnologici, tutti ecologisti, tutti in bici, MA IN MOTORINO TUTTI SENZA CASCO PERO’ EH.
Più che Venezia, a me ricorda Napoli..

Mi sono comunque fatta l’abbonamento per i trasporti pubblici, perché avevo letto che il BUS 2 faceva praticamente il giro ‘turistico’ della città e quindi volevo… no vabbè ero stanca di camminare!
Comunque anche i bus sono un casino e quindi sono riuscita a perdermi e mancare tutte le fermate e le coincidenze. Amsterdam 2 – Michi 0

Alla fine il ristorante l’ho trovato. Mi sono seduta e subito ho tirato fuori cellulare e diario. Avevo paura di non essere più ‘preparata’ a mangiare da sola.
Ho ordinato subito un calice di rosso, costava, ma dopo una giornata così non m’importava. Lo volevo.
Oltretutto di tutto ciò che avevo ordinato, era l’unica cosa che sapevo cosa fosse.
Era un semplicissimo rosso, ma al primo sorso mi è parsa la cosa più buona del mondo.
Ecco questa è una delle cose per le quali non scambierei mai il vivere in Italia. Il vino e gli aperitivi.
Sembrerà una cosa da alcolista, ma qualche amico, una bottiglia di vino, forse due.. e cambia tutto. Tutto.

Al terzo sorso, avevo già iniziato a sbadigliare. Non benissimo.

Arrivata la zuppa.. non so cos’abbia dentro ma somiglia tanto alla nostra pasta e fagioli. Ma spero sia solo somiglianza perché sono a dormire in ostello.
Accompagnata da un qualcosa di indefinibile, forse il loro equivalente di ‘cicchetto’. Una fetta di prosciutto (spessa quanto la crosta terrestre e fredda come l’acqua della doccia che faccio quando mia madre decide che è ora di lavare i piatti), messa sopra un quadrato di un boh ancora più freddo e con sembianze di pane scuro.
Non so cosa fosse. Non chiedetemi.
In ogni caso ho mangiato, anche perché escluse le due galatine e un waffle, ero ancora a stomaco vuoto da ieri sera.

Si lo so avevo ancora i Fonzies, ma li tengo per le emergenze, come quel pacchetto di crackers che tengo sempre in borsa per i momenti di carestia e che alla fine sono costretta a sniffarmi quando servono.

Oh è arrivato anche il secondo. Due specie di polpette arrotolate nel bacon, con contorno di patate e verdure, che sembrano verze (OSTELLO!!!!!)

Ora, io sono la prima a voler sperimentare le cucine locali e bla bla bla bla.. ma ragazzi, non ce n’è.

Sono le 21 e sono completamente sfatta. Pensavo che la sera avrei vissuto la movida, le luci, la città.. invece mi sto sognando il letto e il caldo.
Che sfigata. Come a New York la sera che ho preso sonno alle 18 dopo la doccia. Ma li potevo dare la colpa al jet lag, qua a chi do la colpa.. alla vecchiaia?

Neanche tempo di spegnere la luce, sono stata inghiottita in un buco spazio temporale.25035327_10213546755037481_729141462_o

Amsterdam viaggio sola Mai na gioia is the new Black

Amsterdam

Dopo cinque anni dall’ultimo viaggio da sola, rieccomi.
Amsterdam, arrivo

stoccolma metropolitana arte

Stoccolma (Di gioia) parte 2

Stoccolma (Di gioia) parte 2

Secondo giorno in quel di Stoccolma. (se per caso vi foste persi la parte uno la potete ritrovare QUI )
Appena tirate le tende della camera ci ha dato il buongiorno un cielo di un turchese imbarazzante, quindi fuori dalla stanza immediatamente.

Il programma prevedeva giro per (spè che devo controllare come si scrive…) Östermalmstorg, cioè la zona nord, quella commerciale, quella con il mercato coperto.
Tappa a mio parere obbligatoria.

stoccolma bicicletta

Mi sognavo salmone e polpette da quando eravamo partite. E poi tutto il pomeriggio a Djurgarden (una specie di Central Park svedese).

Quindi colazione con la solita tonnellata di KanellBullar, caffè e via.colazione stoccolma
Volevamo prendere le bici ma c’era un piccolo imprevisto che non avevamo calcolato prima di partire; UN FREDDO PORCO.
Quindi abbiamo accantonato l’idea della bici, almeno finché non avessimo trovato un H&M aperto e fatto scorta di strati su strati.

Solo che sti svedesi son tanto brutti da vedere quanto stacanovisti. E l’orario di apertura dei negozi andava dalle 10.30 alle 16.30 del pomeriggio.
EHH! APPUNTO.

Cioè lo shopping hai 4h per farlo, un Gin Tonic ti costa 19 € e in inverno è sempre buio, per forza c’è il tasso di suicidi più alto del mondo. Sfido io…
Alla fine l’abbiamo trovato e abbiamo aspettato aprisse.

Breve giro di shopping e via per la città.
No ok non è vero, siamo state dentro almeno un’ora e mezza e siamo uscite con il necessario anche per un’eventuale giro in Siberia al ritorno. Sai te..

Stoccolma (Di gioia) parte 2

Comunque per quanto riguarda la moda scandinava devo dire che ‘I like it‘.
Ovviamente non mi fermo nemmeno a sottolineare il fatto che anche lì, come in tutto il mondo, eccetto che in Italia, a nessuno frega veramente nulla di come sei vestito.
Ma quello che davvero più mi è piaciuto, è il loro estetismo.

E non parlo solo del loro gusto nel vestire, che credo sia totalmente innato, non ricercato e non ostentato.caffe stoccolma design

Provo a spiegarvi meglio la sensazione che ho avuto.
Vi è mai capitato di trovarvi una sera a cena da soli a casa e di decidere di apparecchiarvi comunque la tavola, magari con una candela, un bel centrotavola, un bicchiere da vino di quelli del ‘servizio buono’ , aprirvi una bottiglia e godervi anche l’occhio un po’. Solo per voi.

O (questo più per le donzelle. E se non l’aveste mai fatto allora, dovreste.) di innamorarvi di un completino intimo e di comprarvelo, pur sapendo che non lo avrebbe visto nessuno all’infuori di voi. Si insomma di fare qualcosa per sentirvi belle, però solo per voi..

Ecco secondo me loro sono così. Sono esteti, curano loro stessi, così come curano la loro città. Solo per loro, per i loro occhi, per andarne fieri.

‘Ah la Svezia, la patria del design’, beh si… anche io l’ho sempre associata all’IKEA, a quei legni laccati e a tutti quei mobili dai nomi impronunciabili.
E invece no, quell’espressione credo di averla capita realmente solo una volta arrivata là.

Là il design si respira. E’ ovunque. Non sai mai se stai guardando un negozio di mobili, una galleria d’arte o un semplice bar.ikea
E’ tutto ordinato.
E’ tutto funzionale.
Loro sono ordinati e funzionali.

Stoccolma (Di gioia) parte 2

E’ tutto come nei cataloghi IKEA, dove tutto, anche l’immagine di una tazza lasciata per terra accanto ad un giornale per dare l’idea di vissuto, in realtà non è casuale.

Stoccolma è così. Mai casuale.

stoccolma panorama Skansen

Ammetto comunque, che è difficile spiegare Stoccolma e gli svedesi sotto questo punto di vista.
E per questo motivo ammetto anche che, seppur splendido, sono rimasta un po’ delusa dal mercato coperto. Si perché mi aspettavo un classico mercato alimentare,
quel mix di bancarelle, profumi, colori..
Invece in pieno stile svedese, era tutto perfettamente e schifosamente perfetto.mercato stoccolma Östermalms saluhall

Eh vabbè c’era da aspettarselo.
Ci siamo arrivate dopo lo shopping, quindi all’incirca alle 11.30.
Già dopo mezzo giro, avevamo la bava alla bocca. Almeno 3 giri per scegliere dove e cosa mangiare.
Prezzi incredibilmente alti ma ragazzi oh, per occhi, bocca e anima.

Dopo il pranzo abbiamo dovuto camminare un bel po’ per smaltire il tutto, ma poco male perché come vi dicevo avevamo in programma di passare il pomeriggio a Skanses.

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Una sorta di parco/museo all’aperto, dove oltre allo zoo si può rivivere l’atmosfera della Stoccolma di una volta.
Non sto a soffermarvi sul parco o sullo zoo, indubbiamente molto carini da vedere, il parco sicuramente di più.

L’unica cosa che mi sento di dire è che la vista migliore di Stoccolma è là.
Lo dico senza riserve proprio.

Inoltre sulla cima del parco si trova una ‘locanda’, con tavolini fuori, con vista mozzafiato e torte ancora meglio.. FIKA obbligatoria là. Ma che ve lo scrivo a fare!?

stoccolma fika skansen

Il resto del pomeriggio l’abbiamo passato sempre dentro il parco a girare in bicicletta. Piste ciclabili larghe, laghetti, animali liberi, qualche villa nascosta tra gli alberi che ogni tanto si lasciava intravedere…

Mia sorella non era molto d’accordo, ma c’è poco da fare, l’essenza di Stoccolma è proprio quella… e se non apprezzi tutto questo, allora non te la meriti.

Ovviamente ora di sera eravamo veramente stanche, ma era anche venerdì sera. Il minimo che potevamo fare era uscire a dare un’occhiata alla movida svedese.

C’abbiamo provato quantomeno. Abbiamo optato (spinte dalla casualità, ma soprattutto dalla fame), per un tipico pub. Era veramente stra colmo, ma sono comunque riusciti a trovarci un posticino.

Hamburger gigante per lei e polpette con purè e salsa di mirtilli rossi per me. Potrei dire che erano veramente buone, ma dovrei anche dire che avevo veramente fame, e quindi non saprei dirvi con certezza dove sta la verità.
Non solo comunque. Ci siamo beccate anche un concertino live. Eh si!

Erano partiti anche bene con del sano rock anni ’70. Ma ad un certo punto la serata è degenerata seguendo il flusso alcolico dei presenti e sono partiti con canzoni tipiche svedesi compresa la loro versione di ‘Nella vecchia fattoria‘.

Siamo rimaste un bel po’ ad osservare lo svolgersi della serata, anche perchè non avevamo alternativa. La musica era talmente alta che non riuscivamo a sentire nemmeno i nostri pensieri e il wifi non andava. O meglio andava, ma per lo stesso motivo per cui non riuscivamo a sentire i nostri pensieri, non siamo riuscite a sentire la risposta della cameriera alla domanda ‘Ma la password del wifi?‘, per ben due volte. Chiedere di ripeterla una terza volta ci avrebbe fatto passare da ritardate. Si ok sarebbe stato vero, ma…

In ogni caso, prima che la situazione degenerasse ulteriormente e ci tirassero in mezzo alla pista per i balli di gruppo, siamo scappate.

Anche perchè il giorno dopo ci aspettava il giro per i Fiordi.

E ormai la testa era già là..

stoccolma fiordi

new york viaggio da sola mai na gioia is the new black

Viaggio da sola a New York (part. 3)

Ah ma siete ancora qua a leggermi? (QUI la parte 2) Io speravo di potervi raccontare tutto in poche righe. Ma proprio non ce la faccio… Non odiatemi. Ma con New York è impossibile.

Ma torniamo a quel pomeriggio. Dove mi avevate lasciata? A vagare per Central Park sicuramente…

Ecco beh, dopo quella della biblioteca, arriva la seconda idea geniale della giornata: andare ad Harlem a vedere il Rucker Park. (Per chi non mastica basket, è un campetto storico che volevo vedere assolutamente).

Essendo ad Harlem, mi era stato detto ‘Vai tranquilla, è come la stazione di Padova, se ci vai di giorno non c’è nessun problema!’. E andiamoci di giorno allora.

A piedi era infattibile, in metro mi seccava essendoci il sole, prendiamo il bus quindi… Ogni 15 secondi una fermata, ogni 15 secondi saliva gente sempre meno raccomandabile.

Allora, premetto che non sono razzista ovviamente e che anzi Martin Luter King mi stava simpatico, stima proprio… ma ho visto fin troppi film per non sapere che fine fa’ una ragazza ad Harlem da sola.

Io ve lo giuro, dopo dieci fermate l’autista continuava a lanciarmi occhiate dallo specchietto del tipo ‘Ti sei persa o sei semplicemente idiota?’ e io rispondevo con le mie occhiate da ‘Entrambe le cose zio!’.

Verso le ultime fermate l’ansia aveva iniziato a salirmi. E non poco.

Già mi immaginavo come nei film, io rincorsa che scappo per quei vicoli strettissmi tra i palazzi in mattoni con le scale antincendio a vista, rovesciando cassonetti, fin quando arrivo in un vicolo chiuso da una rete che dovrei saltare per salvarmi… e li niente basta, mi arrendo perché non sono così agile. E allora Studio Aperto farà un servizio su di me, con i miei selfie più brutti… Ok basta scusate, a volte mi lascio trasportare troppo.

Comunque alla fine sono arrivata al capolinea, mi alzo per scendere con il cuore in gola e la vecchina di colore, seduta di fronte a me si gira e mi dice “Ma tu sei proprio sicura che dovevi scendere qua?”. Gelo nel sangue.

O mio Dio, morirò! Morirò e non avrò mai detto al tipo che mi piace, che lo amo.

Beh ormai dovevo scendere per forza. Scendo, ma del campetto manco l’ombra, mi guardo intorno, cerco con il telefono… Nulla. E adesso? Mi guardavano tutti. E sicuramente non perché io meritassi di essere guardata.

Sconsolata attraverso la strada per riprendere l’autobus e tornare indietro. Delusissima.  ED ECCOLO!

Mi sono seduta sugli spalti, quatta quatta, per non disturbare. Ma sono durata giusto il tempo di rendermi conto che mi mancava solo una grossa freccia luminosa sopra la testa che indicasse la presenza della classica ragazza bianca, vestita da collegiale, seduta sugli spalti a vedere una partita di basket amatoriale in una tra le zone più malfamate della città. FUGA!

Risalgo sul bus per tornare. L’autista era lo stesso dell’andata e quando sono salita mi ha guardata e ho capito che aveva trovato risposta alla sua precedente domanda. Sono idiota si!

L’ho salutato con un cenno di capo che spero abbia percepito come un ‘Che questa cosa rimanga tra noi due, grazie!’ e sono scesa sulla Fifth Avenue. La via dello shopping. Il centro del mondo.

Non credo di essere in grado di spiegare cosa possa essere per una donna, la Fifth Avenue. Soprattutto sotto Natale.natale a new york

H&m, Victoria’s Secret, Tiffany.. tutti uno dietro l’altro senza nemmeno darti il tempo di riprendere fiato da quello precedente.

So che i maschietti difficilmente potranno capire, ma è un po’ come per voi riverdere il gol di Roby Baggio in Italia-Cecoslovacchia o per i cestisti i 13 punti in 35”di T-Mac. Non so se ho reso l’idea.

Comunque dopo aver dato fondo alla carta di credito sono tornata in albergo. Secondo giorno e già iniziavo a pensare a come avrei fatto a far stare tutto in valigia.

Ma non era il momento di preoccuparsene. L’unica cosa a cui pensare in quel momento era farmi la doccia e andare alla ricerca di quel ristorante italiano nell’East Village, che mi avevano consigliato.

ALT! So cosa state pensando, “Questa va’ a NY e cerca ristoranti italiani”. No, non è come sembra. Non ci sono andata per la cucina, bensì perché mi avevano detto che avrei potuto incontrarci giocatori NBA.

Ed è vero, confermo! Solo che io sono andata a cena la domenica sera e Belinelli il lunedì invece. Perché non sia mai che i ‘𝓜𝓪𝓲𝓷𝓪𝓰𝓲𝓸𝓲𝓪’ mi lascino in pace almeno in vacanza.

(Marco, se mi leggi, ero io quella sera a farti fischiare le orecchie!)

Ma in ogni caso, come avviene sempre quando pensi di sapere cosa ti aspetta, l’universo ti lancia una palla curva. E quindi devi improvvisare. Sono arrivata al locale (Via della Pace), senza grandi aspettative. Convinta che avrei passato una piacevole serata, sorseggiando vino, seduta al bancone ad osservare lo svolgersi di una classica serata newyorkese.

Non avevo minimamente considerato l’ipotesi di poter conoscere qualcuno.

Entro in questo localino, piccolo, ma proprio quello che t’immagini di trovare a New York. Luci soffuse, piccoli tavoli con candele e atmosfera che ti fa venir voglia di sederti al bancone a raccontare i cavoli tuoi al barista. Bellissimo!

via della pace new york

Prendo posto al bancone si, ma con vista sulla strada.

Arriva subito il proprietario, un ragazzo di Roma, laziale fino al midollo e anche un po’ fuori di testa. Ma dopo i classici convenevoli tra connazionali, mi porta il mio bicchiere di vino e questo è bastato per starmi subito simpatico.

Ed è così che funziona no?! Tu sei li, seduta con in tuo bicchiere di vino, i tuoi pensieri, guardando fuori New York che si prepara per la serata e pensi che sei proprio dove vorresti essere, senza desiderare di più.

Finché non ti si siede un ragazzo vicino. Ordina da bere in italiano. E allora cominciate a fare due chiacchiere.Il bicchiere di vino si trasforma in una bottiglia.Le due chiacchiere si trasformano in una conversazione. E la piacevole cena tranquilla si trasforma in «Cavolo ma sono quasi le 2 e mezza?!».

Lo so è incredibile. Ma la vita a volte ha questa capacità di sorprenderti proprio quando ti aspetti che più nulla possa riuscirci.

Sarà stato il vino, New York o la mia solita incoscienza, fatto sta che ho acconsentito che mi riaccompagnasse in albergo. Anche perché è vero che New York è una città parecchio sicura, ma avevo la netta sensazione di aver consumato tutta la mia dose di culo mensile ad Harlem al pomeriggio. E non volevo rischiare.

Il vino comunque ha avuto la meglio e quindi in metropolitana ci siamo baciati. Per tutto il tragitto a dir la verità.

Ed è li che ho finalmente capito cosa intende la gente quando dice «Eh ma se vuoi veramente imparare una lingua nuova devi andare all’estero.»

In ogni caso è stato molto gentile e carino per tutta la sera, ma non abbastanza da convincermi a lasciargli il numero. Quindi ho voluto fare la misteriosa del tipo «Se vorrai, in qualche modo mi ritroverai comunque», ma che in realtà tradotto era “Ascolta è stata una bella serata, un limone non si nega a nessuno ma noi non siamo i protagonisti di Serendipity.  Addio”. E sono rientrata in albergo.

Sono crollata a letto, ripetendomi “Fa’ che domani non me lo ritrovi davanti all’albergo! Fa’ che domani non me lo ritrovi davanti all’albergo! Fa’ che domani non me lo ritrovi davanti all’albergo!”.

La mattina seguente, a parte un epico mal di testa da vino, non ho avuto sorprese. E potevo continuare la mia vacanza da eremita, in cerca della pace interiore.

Va bene, sto scherzando, non giudicatemi!

 Ma torniamo a New York City, perché anche se non sembra, ero solo al terzo giorno.

Non avevo programmato ancora nulla per la giornata, l’unica cosa sicura era che avevo veramente fame.  Cercando un posto per la colazione, ne ho trovato un altro “So cute”. (‘Cafè Un, Deux, Trois’Segnatevelo. )cafe un doix trois new york

Avevo ancora un po’ di postumi, quindi colazione abbonante, aggiornamento del diario sulla sera precedente e… ho una nuova giornata davanti, cosa potrei fare?!

Intanto godermi la colazione, godetevela con me.. al resto ci pensiamo la prossima volta.

P.S.: Ah, alla fine sono sopravvissuta ad Harlem, ma il tipo che mi piace ancora non sa nulla!

per leggere la parte 4 QUI

New York City viaggio sola

In viaggio da sola verso New York City

C’è solo una cosa che serve quando ti ritrovi a 26 anni, di nuovo single e con un lavoro che per certi versi ti fa sentire in gabbia: un viaggio da sola.

Ed è così che ho cominciato. E’ così che ho deciso che il viaggiare (sola) sarebbe stata la mia priorità nella vita. Almeno per un po’.

E specifico ‘da sola’ perché è una scelta anche quella. Ho amici, ho avuto fidanzati e ho viaggiato anche con loro. Ma la sensazione che ho provato appena atterrata a Parigi o ad Amsterdam, la prima volta da sola, lontana da tutto ciò che mi era familiare, non l’ho ancora provata per nient’altro. Anzi si, è la stessa sensazione che ho quando le sere d’estate, giro in bici per la mia città, con la musica nelle orecchie e ogni santa volta mi scappa un sorriso.

E’ sempre stato così fin da quando ero piccola, ho scoperto col tempo cosa fosse quel sorriso, che veniva fuori spontaneo senza che me ne accorgessi, era felicità. Che a differenza della sofferenza o dell’ansia, dura giusto il tempo che tu te ne accorga.. Ecco perché chi non riesce a trovarla nelle piccole cose allora forse dovrebbe smettere di cercarla.

Ed è esattamente la stessa felicità che ho provato la prima volta che ho girato l’angolo in una calle di Venezia e mi sono resa conto di essermi persa (in una città che conoscevo a memoria oltretutto). La stessa provata a Montmartre mentre vagando senza meta, un ragazzo mi ha fotografata da lontano pensando fossi una parigina.

E quindi ogni anno c’è un momento, o un periodo, chiamatelo come volete, in cui mi dico ‘E’ ora!’ e comincio a pensare a dove andare. Troppi posti da vedere per una vita sola. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare..

L’ultima volta ho scelto una meta lontana, per niente turistica, la classica città dove ritrovare se stessi e un po’ di tranquillità: New York. Eh si!

Mi ero appena lasciata con un ragazzo che ci teneva tantissimo ad andare prima o poi. Io, come qualsiasi essere umano volevo vederla ovviamente…E il campionato NBA stava per iniziare (Si mi piace il basket, abbastanza.) Mi parevano motivi più che sufficienti.

Quindi ho iniziato, come faccio sempre, a informarmi.
Facendo zapping tra un sito e l’altro.
E ho iniziato anche ad avere un sacco di dubbi.
Il passaporto, i soldi, il clima, la lingua, l’assicurazione…


Ma ripeto, da qualche parte bisogna pur cominciare.

Quindi una spunta alla volta. Prima il passaporto.

Poi il periodo in cui andare. Beh quello è stato facile, c’era il mio compleanno, la ‘mia’ squadra giocava a Brooklyn proprio in quei giorni e in più accendevano l’albero di Natale al Rockfeller Center.

Poi l’assicurazione sanitaria. Ho letto molto al riguardo, stando via solo otto giorni era necessaria? E se poi non succede nulla butto cento euro che potrei spendere in shopping? Si però se mi succede qualcosa lì? L’ho fatta alla fine. Non è successo nulla ovviamente (Avete presente la maledetta legge di Murphy?Ecco..).

Poi la lingua. Ma con tutte le serie tv americane che guardo in lingua originale non avrò problemi figuriamoci.

E il jet lag.. Chissà se lo sentirò..
I soldi… devo cambiare i soldi. E quanti?
Oddio e il cellulare? Il piano tariffario? L’adattatore per il caricabatteria?
AH! Troppe cose da fare, non ce la farò mai. (consigli utili QUI)

E invece il 28 novembre 2014 alle 9 di mattina ero in aeroporto a Venezia, con un’ansia mista ad eccitazione pazzesca.

Viaggiare cambia le persone. Un viaggio da sola ti cambia la vita.

In aeroporto bisognerebbe sempre arrivare in anticipo, ma io proprio esagero. Mi piacciono gli aeroporti. E’ un po’ come quel punto in cui due binari diversi si incrociano per poi non incontrarsi più. Persone con storie diverse, che non sanno nulla l’una delle altre, ognuno con le proprie vite, che per caso, nello stesso giorno, alla stessa ora, nello stesso posto, s’incrociano. Per poi magari finire in parti opposte del pianeta.

Quindi come dicevo, mi piacciono. Mi piace arrivare la, bere il mio caffè, che non so come, ma ha sempre un gusto diverso dal solito, sedermi sui divanetti e osservare.. Osservare tutta quella gente, che non sai dove va’, o se lo sai non sai il perché.. e allora provi a inventarti quale potrebbe essere la loro storia. Sono strana si.

Poi però arriva anche il momento di imbarcarsi, e allora tutte quelle persone diventano in realtà una ventina che prendono il tuo stesso aereo e che siano due ore o quattordici di viaggio, quando scenderete ti sembrerà di conoscerli da sempre.

Era il mio primo viaggio oltreoceano, quindi il più lungo fatto. Avevo paura di annoiarmi, di non riuscire a dormire, di impazzire…

Invece dopo otto ore, seimila km, quattro film, un kitkat e una cena a base di polpette che credo di dover ancora digerire, sono atterrata.

Era quasi sera ormai, buio e l’idea di farmi un’ora di metro per arrivare in albergo non mi allettava e poi ero stanca morta. Quindi esco dall’aeroporto, ondata di aria gelida in faccia, ma era aria di New York.. e via a cercare un taxi.

E’ stato più facile del previsto perché c’è una postazione apposta davanti all’aeroporto, ci si mette tutti in fila e a turno, senza chiamarli, arrivano i taxi per tutti.

Il tragitto l’ho passato con uno sguardo ebete a osservare tutto fuori dal finestrino, ad ascoltare l’autoradio cercando di capire cosa dicessero. E no, non ci capivo nulla, infatti ho iniziato ad avere l’ansia della lingua.

Poi arriva il momento di attraversare il ponte di Brooklyn. Cercavo di realizzare, ma non ci riuscivo a credere ancora.

Ero veramente a New York. A New York… sola!

Mi è esploso un sorriso in faccia, che Joker può solo sognarselo. Sensazione che difficilmente riuscirei a descrivere.

…continua a leggere. ‘NEW YORK PARTE 1