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Quello che abbiamo imparato dalle favole Disney

Quello che abbiamo imparato dalle favole Disney

..e che forse era meglio dimenticare

Ci siamo cresciuti tutti con le favole Disney, le abbiamo adorate, amate, prese come esempi di vita… il punto è che finché si è piccoli va tutto bene, ma quando poi si cresce ti rendi conto che forse tante cose le hai fraintese. Quindi, dopo alcuni anni di attente analisi e numerosi “mainagioia”, sono giunta ad alcune conclusioni.

Vissero felici e contenti’:
Be’ sì, ciò che accomuna tutte le storie Disney – oltre alla firma di Walt – è sicuramente il più classico dei lieto fine: «E vissero per sempre felici e contenti».
Sì, certo. Solo che nessuno ha mai detto “insieme”. Ci sarebbero stati sicuramente meno fraintendimenti. Se la formula fosse stata «E vissero per sempre felici e contenti, ognuno al proprio castello, ci si becca in giro ogni tanto e ciao…», sarebbe stato diverso.

Se non ci salva lui, non lo farà nessuno’
Tra tutte le cose che potevamo imparare, questa è sicuramente la peggiore, a mio parere.
Per quanto mi riguarda una principessa è definibile tale solo se si sa salvare da sola.
E poi, diciamocelo, è stata la Bestia a essere salvata da Belle e non viceversa. Se non avesse conosciuto lei sarebbe rimasto con le sembianze di una bestia per sempre, in quel castello da solo a parlare con un candelabro e un orologio a pendolo. bella e la bestia libreria

Stessa cosa anche per La bella addormentata nel bosco. Voglio dire: prima che si incontrassero, Filippo stava vagando da solo per un bosco vestito con una calzamaglia… se non avesse incontrato lei, Dio solo sa che fine avrebbe potuto fare lui.

Quindi dai, per favore, basta con questa cosa che vogliamo essere salvate. Ok, ci potete aprire i vasetti di sottaceti quando non riusciamo, vi lasciamo controllarci l’olio della macchina e vi facciamo uccidere i ragni quando vi chiamiamo urlando, ma perché serve a voi tanto quanto a noi.

Quello che abbiamo imparato dalle favole Disney e che era meglio dimenticare.

Non seguire e non accettare caramelle dagli sconosciuti
Se ad un certo punto ci ritroviamo a parlare con animali o altri oggetti non identificati come in una delle favole Disney, allora forse sarebbe meglio sospendere le bibite.
Se troviamo, per esempio, in giro boccette con scritto “Bevimi” o “Mangiami” non è che dobbiamo proprio farlo per forza.panco pinco

Certo, ad Alice è andata bene, ha conosciuto lo Stregatto e il Brucaliffo e visto posti fantastici… ma mica vi dicono in che condizioni si sia svegliata il giorno dopo, però.
Poi non vi lamentate se la mattina seguente, aprendo Facebook, vi ritrovate taggate in foto dove ballate con Pincopanco e Pancopinco. In condizioni imbarazzanti.

La bellezza non conta’
Esatto, è la bellezza d’animo quella che conta.
Ma se sei bello anche fuori meglio. Prendete Quasimodo, per esempio: ha salvato il culo a tutti, ma Esmeralda è andata via comunque con il “bello”. Poi, ovvio, la bella e la bestia ci hanno insegnato il contrario… ma vorrei ricordarvi in che popò di casa viveva la bestia. Belle avrebbe avuto una libreria delle dimensioni dell’Australia e un armadio che sceglieva i vestiti al posto suo al mattino.  aladin disney favole
Eh… ricordatevelo. Anche nei cartoni Disney, dove non arriva la bellezza, arriva la pecunia. E dove non arriva nemmeno la pecunia, allora, in quel caso, forse, ma non sempre, arriva l’Amore.

E vissero per sempre amici e contenti
Ad un finale così avrei creduto molto di più, sia che fosse una friendzone, sia che fosse un’amicizia di quelle vere. Troppo peso all’amore e troppo poco alle amicizie, in queste favole a cartoni animati.
Quell’ingrata di Biancaneve mollò 7 nani una volta trovato il principe. Ariel abbandonò perfino la famiglia per seguire lui. Non si fa. È così che nasce il problema delle coppie che una volta fidanzate spariscono. Credo esista un universo parallelo dove vivono tutte assieme, queste coppie, probabilmente lo stesso universo dove sono finiti tutti i miei accendini e le mie forcine per i capelli. Sì, insomma, l’amore è importante, ma le amicizie lo sono molto di più.

D’accordo basta, troppo cinismo non fa mai bene.

È solo che a saperlo prima forse ci saremmo risparmiate un sacco di docce fredde.
In conclusione, comunque, la cosa da tenere sempre presente – e sulla quale io e il vecchio Walt siamo d’accordo – è che, sia nelle favole che nella vita reale, le vere protagoniste rimaniamo sempre e solo noi.

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Un weekend ad Amsterdam

amsterdam 02 Dicembre 2017

Sono qua da boh, forse 5 ore e mi sembra di esserci da giorni.
Primo viaggio sola dopo tre anni, mi sono concessa il lusso di vagare a caso per la città per circa 3 ore, così per testare se c’era empatia tra noi.

Beh sapete una cosa? Non sento nulla. Letteralmente.
Sono completamente ibernata.
Splendida giornata di nebbia, così giusto per non farmi sentire la mancanza di casa (…).
E proprio per sentirmi come a casa alle 16 ho deciso che era arrivato il momento di fermarmi per riprendere quantomeno la sensibilità di mani, piedi e sentimenti.
Chiaramente da veneta volevo partire (per scaldarmi eh, non per attaccamento agli alcolici) con un’ombra, ma erano le quattro di pomeriggio, mi faceva brutto palesarmi cosi subito agli olandesi… e poi checazzo 6€ per un’ombra?!
Non glieli avrei dati manco fossi stata Peter Pan.

In ogni caso, ammetto che freddo e gelo, hanno un po’ gelato anche il mio entusiasmo iniziale. Io amo il cielo scuro, magari non proprio la pioggia battente quando sei per strada, ma non disdegno il brutto tempo… purtroppo però devo ammettere che il sole cambia tutto, le città, le persone e anche l’umore. E dunque, come direbbe qualcuno ‘Non girava proprio..’.

Quando sono uscita dal locale per avviarmi verso l’ostello, era già orario di aperitivo, no vabbè volevo dire che la luce aveva già iniziato a scendere.. per così dire, visto che Amsterdam sotto Natale è una colata di lucine che perfino Babbo Natale secondo me un po’ si stizzirebbe.
L’idea era tornare in ostello, mettermi all’incirca altri 16 strati di vestiti addosso, come quando in aeroporto la valigia pesa troppo e tu decidi che piuttosto che lasciare là anni di shopping ti devi far stare tutto addosso, e uscire poi per la cena.

Tornare in ostello? AHAHAHAHAHAHA.

Mi sono persa.
Ovvio.

Avevo la cartina, che fa sempre molto Hipster, ma era troppo buio e avevo le mani troppo ghiacciate per tenerla su. Avevo anche Google Maps che fa sempre molto persona normale, ma continuava a dirmi ‘Continua in direzione sudovest per 600m.’, ma io non sono Magellano e dopo la terza volta sono schizzata male e l’ho mandato a cagare al grido di ‘Ma si, goditi a pieno la città in maniera totalmente naturale, dove vai vai.’

Ma dove vai vai cosa? COSA? Che siamo a –4.
21 km.
V E N T U N O chilometri a piedi mi sono fatta.

Sono arrivata in ostello assomigliando tantissimo a Jack Nicholson in Shining. Chiaramente nella scena finale.

Imbottita di vestiti, caffè, scarabocchiato due/tre cose nel diario e via di nuovo.
Ero effettivamente stanca morta, un po’ per la sveglia alle 4, il freddo, i km e soprattutto quella sensazione ‘Di viaggio’. Non saprei come chiamarla, non so nemmeno se sono l’unica a provarla.. io amo viaggiare, lo amo davvero, penso sia lo scopo per il quale lavoro, per potermi permettere qualche ‘fuga’ ogni tanto, che mi faccia sentire appagata dalla vita, che mi faccia sentire viva e parte di un modo che piano piano sto scoprendo, che poi altro non è che lo scopo principale per il quale la maggior parte della gente viaggia. (VIAGGIA, non ‘va in vacanza’); ecco beh la sensazione del primo giorno di viaggio, aspetti aspetti aspetti e poi arriva quel giorno, ed è pieno di ansia, emozione, gioia, aspettative e mille altre cose.. ecco quella sensazione, crea stanchezza. Quella stanchezza.

Ma volevo uscire. Volevo Amsterdam. Il centro dell’Europa. 24956795_10213546539912103_1147622866_o.jpg

Quindi fuori, boccata d’aria gelida, ma ‘Freddo nun te temo più’ e via.. un labirinto di stradine, canali e case strettissime tutte uguali e diverse.
E di quelle, mi sono innamorata.
Fin da quando ero piccola, la cosa che amavo più fare era guardare la ‘vita’ dentro le case illuminate alla sera. La quotidianità degli altri. Il rientro nella comfort zone, dopo una giornata nel mondo. Lo trovavo confortante. Le librerie, i fornelli accesi, un cane che gironzola per casa.. non saprei spiegare.

Ecco beh, Amsterdam mi ha fatto tornare bambina. amsterdam finestre illuminate
Le case (TUTTE) alte e strettissime, sono dotate di di grandi vetrate a vista. Zero tende, o forse qualcuna ma comunque aperta a metà, per dare solo una mezza parvenza di privacy.
Se lo facciano per tradizione o per esibizionismo non lo so, ma è uno spettacolo.
Case perfettamente arredate, case disordinate, gente che cena con amici, gente che suona la chitarra, chi legge, chi scrive.. tutto ‘in vetrina’.
Ripeto, uno S P E T T A C O L O.
Ed è stato amore.

In questo loro ostentare il design sono molto simili agli svedesi, così come anche per l’abuso delle biciclette.
SI BEH.. anche qua vorrei dire: tutti tecnologici, tutti ecologisti, tutti in bici, MA IN MOTORINO TUTTI SENZA CASCO PERO’ EH.
Più che Venezia, a me ricorda Napoli..

Mi sono comunque fatta l’abbonamento per i trasporti pubblici, perché avevo letto che il BUS 2 faceva praticamente il giro ‘turistico’ della città e quindi volevo… no vabbè ero stanca di camminare!
Comunque anche i bus sono un casino e quindi sono riuscita a perdermi e mancare tutte le fermate e le coincidenze. Amsterdam 2 – Michi 0

Alla fine il ristorante l’ho trovato. Mi sono seduta e subito ho tirato fuori cellulare e diario. Avevo paura di non essere più ‘preparata’ a mangiare da sola.
Ho ordinato subito un calice di rosso, costava, ma dopo una giornata così non m’importava. Lo volevo.
Oltretutto di tutto ciò che avevo ordinato, era l’unica cosa che sapevo cosa fosse.
Era un semplicissimo rosso, ma al primo sorso mi è parsa la cosa più buona del mondo.
Ecco questa è una delle cose per le quali non scambierei mai il vivere in Italia. Il vino e gli aperitivi.
Sembrerà una cosa da alcolista, ma qualche amico, una bottiglia di vino, forse due.. e cambia tutto. Tutto.

Al terzo sorso, avevo già iniziato a sbadigliare. Non benissimo.

Arrivata la zuppa.. non so cos’abbia dentro ma somiglia tanto alla nostra pasta e fagioli. Ma spero sia solo somiglianza perché sono a dormire in ostello.
Accompagnata da un qualcosa di indefinibile, forse il loro equivalente di ‘cicchetto’. Una fetta di prosciutto (spessa quanto la crosta terrestre e fredda come l’acqua della doccia che faccio quando mia madre decide che è ora di lavare i piatti), messa sopra un quadrato di un boh ancora più freddo e con sembianze di pane scuro.
Non so cosa fosse. Non chiedetemi.
In ogni caso ho mangiato, anche perché escluse le due galatine e un waffle, ero ancora a stomaco vuoto da ieri sera.

Si lo so avevo ancora i Fonzies, ma li tengo per le emergenze, come quel pacchetto di crackers che tengo sempre in borsa per i momenti di carestia e che alla fine sono costretta a sniffarmi quando servono.

Oh è arrivato anche il secondo. Due specie di polpette arrotolate nel bacon, con contorno di patate e verdure, che sembrano verze (OSTELLO!!!!!)

Ora, io sono la prima a voler sperimentare le cucine locali e bla bla bla bla.. ma ragazzi, non ce n’è.

Sono le 21 e sono completamente sfatta. Pensavo che la sera avrei vissuto la movida, le luci, la città.. invece mi sto sognando il letto e il caldo.
Che sfigata. Come a New York la sera che ho preso sonno alle 18 dopo la doccia. Ma li potevo dare la colpa al jet lag, qua a chi do la colpa.. alla vecchiaia?

Neanche tempo di spegnere la luce, sono stata inghiottita in un buco spazio temporale.25035327_10213546755037481_729141462_o

Amsterdam viaggio sola Mai na gioia is the new Black

Amsterdam

Dopo cinque anni dall’ultimo viaggio da sola, rieccomi.
Amsterdam, arrivo

Esco a prendere una boccata d’ansia e torno

Esco a prendere una boccata d’ansia e torno

Incredibile, un giorno con il portatile fuori uso e mi ritrovo a riscrivere con carta e penna.

Mi sento come quella volta che da piccola, in gita, ci portarono a vedere una vecchia scuola. Ci fecero sedere nei banchi di una volta, con il buco per l’inchiostro e il calamaio…

O come un bambino di oggi, al quale vengono mostrate una penna e una cassetta di musica. ‘E mo’ che ce dovrei fa’ co sta roba?’

E pensare che una volta scrivevo. Scrivevo sempre.

E guai se non lo facevo. Tutti i giorni o quasi. Di più se mi serviva. Un diario all’anno era la regola, da quando ne avevo 8.

In pratica la mia vita ci sta tutta in un cassetto. Più precisamente nel primo cassetto di fianco al letto.

Eppure ora faccio fatica. I pensieri vanno molto più veloci della penna, o forse semplicemente sono fuori allenamento.

Anche ora scrivo si, ma tra un aggiornamento del diario e l’altro possono passare mesi ormai. Forse non ne sento più il bisogno. O forse mi sono circondata di persone in grado di darmi lo stesso beneficio che traevo dallo scrivere.

Oggi però, ne ho risentito la necessità. Talmente tanti pensieri da aver bisogno di scriverli per tentare di riordinarli, ma soprattutto per provare a liberare un po’ di spazio nella testa.

Ultimamente mi capita spesso di sentirmi a disagio, mentre sono fuori con amici. Ma ieri sera è stato diverso. Ieri sera ho provato a capire cosa stesse succedendo.

Cena di compleanno tra amici, alcuni stretti, altri più che altro conoscenti.. cibo delizioso, vino, aria di felicità per tutti, eppure ad un certo punto è ricominciata quella sensazione.

Disagio.

Frastorno. Quasi nausea.

Si ma…perché?

Hai il tuo ragazzo seduto di fronte, ed è felice. Hai le tue amiche vicine, sei a mangiare in uno dei tuoi posti preferiti, indossi il tuo tubino nero che dopo anni sei riuscita a infilarti, hai anche avuto il tempo di prepararti dignitosamente invece che grossolanamente come fai sempre perché finisci sempre di lavorare tardissimo .. e allora cosa c’è? C O S A C’ E’?

Resisto un po’.

Poi però ho bisogno di aria.

Mentre tutti mangiano, mi vesto ed esco.

Appena messo piede fuori tiro una boccata d’aria. Forse la prima volta in vita mia in cui avevo davvero bisogno di ‘prendere aria’.

Embeh?

Sospiro.

Fuori c’è una finestra, la tenda è tirata, ma riesco comunque a intravedere la nostra tavolata.. e in ogni caso riuscivo a sentirne gli schiamazzi.

Tutti sereni, tutti che scherzano, tutti che devono.. e allora perché io ero là fuori da sola? Oltretutto con il solo desiderio di essere in tuta nel mio divano di casa?

Sapevo di avere i minuti contati, prima che qualcuno degli amici più stretti venisse a chiedermi cosa stesse succedendo e visto che non avrei saputo cosa rispondere.. ho mandato giù tutto e sono rientrata.

Dopodiché ho solo aspettato finisse, la cena e la sensazione.

Una volta, adoravo queste cene. Ma non solo. Da quando ero piccola, adoravo proprio il weekend.. lo aspettavo con ansia. Era ciò che mi dava la voglia di affrontare tutta la settimana. Se poi c’èrano ‘eventi’ anche infrasettimanali tanto meglio.

Qualsiasi cosa spezzasse la routine dei giorni ‘normali’.

Ok devo lavorare 5 giorni. Ma stasera esco a cena e ho due ore tutte per me.’

Ne avevo bisogno.

E quando non avevo impegni o nessuno usciva, venivo assalita dalla tristezza. Come se stessi sprecando il ‘mio tempo’.

Voglio dire, tolte le ore per dormire, tolte quelle in cui torniamo/andiamo a lavoro, tolte quelle per tutti quei ‘doveri’ extra lavoro che ci toccano… in una settimana quante ce ne restano di nostre? Una manciata scarsa? Beh per quanto fosse ingiusto io avevo imparato a prendermele tutte e usarle facendo quello come mi faceva sentire meglio.

Una cena di compleanno tra amici, un po’ di tempo per un trucco che mi facesse sentire bella e non semplicemente presentabile, il ragazzo, le amiche sedute vicine, una bottiglia di vino, un bel vestito nuovo e niente lavoro il giorno dopo. Bastava.

Quindi ora perché sono qua fuori a osservare attraverso la tenda?

Perché mi manca l’aria?

Forse perché non capisco se mi basta o come faccia a bastare agli altri.

Ho anche pensato al viaggiare. Infondo il viaggiare è la cosa che più di tutte mi riempie l’anima. Quando sono via sento che è quello che vorrei fare sempre. Non saprei spiegare la sensazione, ma so per certo che quella sensazione di ‘sprecare tempo’ è il più lontano possibile in quei momenti.

Poi però mi dico che magari per chiunque è così. Voglio dire, chi non vorrebbe fare della propria vita un viaggio?

E al quel punto mi ripeto sempre la frase di Fight Club ‘Se ti svegliassi a un’ora diversa in un posto diverso, ti sveglieresti come una persona diversa?’

Non lo so proprio.

Ma se tutti riescono ad accontentarsi di viaggiare una, due volte l’anno e di lavorare il restante tempo, ma soprattutto riescono a stare seduti a quel tavolo con i loro amici il sabato sera sereni, perché io no?!

Non so neanche questo.

Quindi come dicevo, meglio rientrare prima che qualcuno esca a chiedermi cosa c’è e io non sappia cosa dire.

oporto portogallo viaggio

Portogallo, viaggio da nord a sud

Un viaggio on the road in Portogallo, da Nord a Sud

Eccoci qua. Un altro ‘eccoci’ anche stavolta all’aeroporto. Oggi però con me c’è lui.

Entrambi indipendenti, entrambi abituati e propensi al viaggio in solitaria. Un anno fa entrambi a fare gli splendidi la sera che ci siamo conosciuti, su quanto fossimo amanti dei viaggi e che mai avremmo rinunciato a viaggiare da soli (semicit.)

E invece oggi eccoci qua, ad aspettare l’imbarco. Primo viaggio, aspettative altissime.

Soprattutto io. Non è solo una vacanza per me. Non sono solo le ferie di fine Luglio. Sono i ‘ miei 10 giorni dell’anno’. Sono quelli per i quali mi sveglio ogni mattina per andare a lavorare, quelli per i quali ho abbandonato molti dei preziosi vestiti del mio armadio per pagare il biglietto. Sono la mia fuga dell’anno. Sono LA parte dell’anno. Sono il cambiamento. Sono la mia crescita personale. Sono.

E quest’anno li condividerò. E per quanto il mio cuore sia un centrifugato di gioia anche solo per l’essere qua al gate, con il mio diario e la testa già la… beh credo che un po’ di ansia in più, sia un mio diritto.

Ah comunque se non l’avessi già detto.. Portogallo. Stavolta però, diversamente dai miei soliti viaggi, sarà un tour. Vorrei già poter dire il programma e le tappe previste, ma sono quasi certa che non andrà secondo i piani. Così come sono qua al gate, certa di aver dimenticato qualcosa a casa, solo che non mi ricordo cosa.

L’unica cosa che sappiamo al momento, è che l’arrivo è previsto a Porto e  la ripartenza da Lisbona. Per il resto, il programma preparato e sul quale siamo assolutamente d’accordo entrambi è ‘Godere dell’atmosfera tradizionale di qualche paesino di quelli poco turistici, mangiare tanto pesce di quello pescato alla mattina dai pescatori locali, bere tanto Porto e tuffarsi nell’Oceano’.

Dio, quanto bello è viaggiare..

Quanto belli sono i momenti prima di una partenza, quando pensi di sapere, ma in realtà non hai idea di tutto quello che ti aspetterà di là. Di tutto quello che vedrai, assaggerai, annuserai e riceverai…  Sai solo che, da quando salirai sull’aereo a quando scenderai una volta tornata a casa,  sarai più grande.  Uno dei pochi momenti, per i quali amo crescere.

Capite l’ansia ora.

Aprono il Gate. Si và.

Porto 24/07/2017

L’unica cosa che sapevo di Porto, era il fatto che si potesse fare il  ‘Tour delle cantine’, per assaggiare il famoso vino ‘Porto’ (NON GIUDICATEMI).  E appena messe giù le valigie, considerando che un po’ per la stanchezza, un po’ per il caldo e un po’ per la caoticità della città, ci era sceso un  leggero velo di spono (per i non veneti non saprei come tradurlo scusate), perché aspettare… Doccia veloce, caffè nel bar sotto casa, che più che altro era il paradiso dei carboidrati (con il senno di poi, le ‘Pastels de Nata’ più buone mangiate in tutto il Portogallo), e via alla doverosa scoperta del Porto.

Passeggiata per il famoso ponte delqualenonricordoilnome che collega il centro della città  a Vila Nova  de Gaia, e direzione (su consiglio di un amico locale) la cantina di Taylor’s. Il tour prevedeva (a scelta)  la visita (audio)guidata della cantina storica e la degustazione finale del  tanto decantato Porto. portogallo cantina vino

Con tutta la buona volontà che ci contraddistingue abbiamo preso entrambi i biglietti ovviamente. E altrettanto ovviamente, dopo cinque minuti abbiamo fatto come si faceva in Monopoli, siamo andati direttamente alla degustazione senza passare per la cantina.

Dopo due giri (che poi sono quattro considerando che la degustazione prevede due bicchieri a testa e che per noi due bicchieri servono solo a sciacquare la bocca. (NON GIUDICATECI)), il Portogallo ha iniziato a sorriderci e noi a ricambiare. Ci siamo resi conto di quanto fosse ‘spettacolare’ il posto, racchiuso in un giardino interno decisamente fiabesco, con tanto di galli e pavoni a passeggio tra i vari tavoli. Indubbiamente qualcosa di insolito e quindi consigliato sicuramente.

Purtroppo sapevamo che le cantine hanno il brutto vizio di chiudere ‘presto’ e concludere il ‘Tour delle cantine’ avendone vista solamente una ci sembrava decisamente irrispettoso, per noi e per il Porto. Quindi via con la seconda.. meno caratteristica ma altrettanto buoni i cocktails, tanto che non mi ricordo il nome del posto.

Comunque come si usa dire, ‘S’era fatta na certa’, la cantina stava chiudendo e a noi si stava aprendo lo stomaco. Ci siamo fatti consigliare dalla cameriera un paio di ristoranti, a suo dire ‘non turistici ma solo per locali’ e abbiamo iniziato la ricerca del prescelto per la cena.bambini portogallo

Considerando che, insdispensabili come lo spazzolino e il caricabatterie anche il ‘Mainagioia’ ce lo siamo portati in vacanza, neanche da dire, tutti i ristoranti consigliatici erano ovviamente CHIUSI e  ci siamo quindi lasciati ispirare un po’ dalla fame e un po’ dai menu appesi fuori dai locali (che si è una delle cose più tristi ma anche più utile per i turisti che amano sfidare TripAdvisor).

Antipasto spaziale, secondo da bene ma non benissimo, conto comunque onesto.  Nel complesso non lo consiglio.

Game over.  Svegli da circa 30 ore e con una leggera ebbrezza addosso, ci siamo dovuti arrendere al rientro. Constando comunque, nella via del ritorno, di quanto la città  cambiasse totalmente aspetto la sera. Un po’ dispiaciuti per la mancanza di energie per poter affrontare la movida notturna, ma consolati dal fatto che il giorno seguente era prevista un’altra intera giornata dedicata solo a Porto, siamo crollati.

… Non importa perchè avevamo ancora tutta la vacanza davanti.

PARTE 2

Non ho mai creduto nell’Amore

Non ho mai creduto nell’Amore, forse perchè l’Amore vero è per pochi.

Anzi no, mi correggo. Non ho mai creduto esistesse, nella realtà, l’idea che io ho dell’Amore.

Tutti vorremmo credere che, in un mondo nel quale tutto dura il tempo di un like, la nostra storia d’amore sarà diversa. La nostra è vera. La nostra durerà per sempre.

Dicono che sono cinica.
E probabilmente è vero, molto vero.

Il punto è che quando l’amore ti passa accanto, difficilmente lo puoi confondere con altro. Difficilmente lo puoi ignorare. E quindi ancora più difficilmente ti toccherà viverlo.
Si perché, soprattutto se sei cinico e razionale come me, l’amore ti fa perdere l’equilibrio. E nessuno vorrebbe mai perdere l’equilibrio.
Sei sopra un filo. E se vuoi arrivare dall’altra parte lo devi attraversare.
E la paura non è di cadere, cadere fa parte del gioco… ci si può rialzare, il problema è cadere ancora.

Non ho mai creduto nell’Amore, ma forse perchè..

Quante volte una persona può cadere e rialzarsi continuando però, a credere di potercela fare ancora?

Se tutti intorno a te cadono, perché continuare a credere di essere ‘migliori’. Perché attraversare quel filo? Perché non si può semplicemente stare da questa parte? Anche da soli. Cos’ha questa parte che non va?

Ognuno ha la propria visione dell’amore.

Tutti vorremmo credere che, in un mondo nel quale tutto dura il tempo di un like, la nostra storia d’amore sarà diversa. La nostra è vera. La nostra durerà per sempre.

Non potremmo semplicemente accettare l’idea che l’Amore esiste, ma l’Amore eterno no?!

E se si, come si fa a viversi al meglio una storia che sappiamo essere destinata a finire?

Tutti vorremmo essere guardati come la prima volta. Tutti vorremmo credere ‘ che il mondo con il suo delirio, non riuscirà ad entrare e far danni‘, come diceva Max..

Poi però, arriva la realtà. Ho letto spesso la frase «Se non impari a star bene da sola, non starai mai bene davvero con gli altri». Per anni mi è risuonata in testa. Per anni ho tentato di capirla.
E alla fine ho imparato.. solo che ho imparato anche, che la frase corretta doveva essere «Impara a stare da sola, che tanto prima o poi ti ci ritroverai..
E non intendo necessariamente single, intendo proprio sola.

Magari a 50 anni, magari un sabato sera, i bimbi a nanna, lui fuori a bere una birra con amici e tu a casa con i tuoi libri o il tuo portatile. Non avrai voglia di scrivergli per sapere se si sta divertendo e lui non avrà voglia di scriverti perché semplicemente non gli interessa.
Ecco penso intendano quello con ‘Impara a star da sola’.

Che se avrai imparato a farlo, quella sera non ti peserà. Non ti peserà non essere più la 30enne che eri, non ti peserà passare il sabato con i tuoi libri e soprattutto non ti peserà non essere più ‘vista‘ da lui.

La gente tradisce. La gente dimentica. La gente è egoista. La gente il più delle volte fa schifo.

Non ho mai creduto nell’Amore.

Anzi no, mi correggo, non credo esista, nella realtà, il mio di Amore.

Perché per me l’Amore è, dopo 30 anni assieme, andare ad una cena da amici e in una stanza in mezzo ad altre decine di invitati, incrociarsi con lo sguardo e sorridersi come fosse la prima volta, come fosse la cosa più rassicurante del mondo, come foste gli unici in quella stanza.
Come foste gli unici nel mondo.
Persone che sanno di poter dare molto al mondo da sole. E che insieme possono dargli ancora di più. E scelgono di farlo.

Scelgono di scegliersi. Di provarci. Di farcela. E ce la fanno.
Ma come dicevo.. poi arriva la realtà.

QUADRO DI E.HOOPER ‘FINESTRA SU NEW YORK’

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Viaggio a New York da sola (parte 2)

Dov’eravamo rimasti? Ah si, appena arrivata a New York.
Eh, vorrei tanto dirvi che ho messo giù la valigia in albergo e sono uscita per una prima esplorazione, ma no. Sono morta a letto. Si lo so, sono una sfigata.. appena arrivata a NY e vai a letto? Beh si.

Il Jet leg non perdona nessuno.

In compenso alle cinque di mattina ero sveglia. Sveglissima anzi. Si perché ho aperto gli occhi, entrava luce, mi sono girata verso la finestra e ho visto questo…

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Quindi ho realizzato dove fossi.
Ho realizzato anche che non mi sarei più riaddormentata, ero a New York checazzo! La città che non dorme mai, non vedo perché avrei dovuto dormire proprio io allora.

Però erano le cinque di mattina, dove cavolo potevo andare a quell’ora?!

Ho temporeggiato, recuperando la password per il wi-fi mi sono ricollegata al mondo, classici messaggi di rito ai miei per avvisarli che ero ancora intera, alle sorelle per fare invidia e a tutta facebook che altrimenti si sarebbe chiesta che fine avessi fatto, aggiornato il diario, breve ripasso del programma (Si avevo un programma! Ma per lo più erano posti dove mangiare, perché io i viaggi li organizzo così.) e fuori finalmente.

Messo piede fuori dall’albergo mi sono resa conto subito, marciapiedi larghi, strade ancora più larghe, odore di cucina cinese già alle otto del mattino, gente con biberoni di caffè in mano e fumo dai tombini…esagero? Giuro di no. Era davvero New York. Ed è incredibile perché non c’ero mai stata, ma al tempo stesso l’avevo già vista milioni di volte e nonostante tutto naso all’insù e bocca aperta per tutti gli otto giorni.

Il programma della giornata comunque prevedeva colazione da Starbucks (si lo so, è vergognoso, ma era il primo giorno e mi mancavano i loro muffin delle dimensioni del Canada) , poi visita a Madame Liberty, passando per Wall Street. Potevo prendere la metro, ma nelle città preferisco perdermi camminando e poi era una splendida giornata… no ok sto mentendo. Avrei dovuto fare l’abbonamento e c’ho anche provato, ma giuro su Dio che la metro di NY è un casino assurdo. Volevo evitare il primo giorno di salirci e ritrovarmi nel Bronx.E quindi ho optato per una passeggiata.
La mappa diceva che non era poi così distante. Beh sapete una cosa?! La mappa mentiva. E poi io non so leggere le mappe.

Ho camminato, parecchio, ma lo rifarei subito (solo strade interne, mai le principali, perché secondo me la vera città è quella), fino Battery Park, punto più basso della città, dove prendere il traghetto per Ellis Island.
Era il 29 novembre e sono scesa dal traghetto con le stalattiti che mi scendevano dal naso.. freschetto!

Su consiglio di amici ho evitato di scendere alla fermata della Statua, anche perché Madame Liberty è come Madame Gioconda. La loro fama è inversamente proporzionale alla loro dimensione. Dunque ci sono solo passata davanti e mi sento di inoltrarvi il consiglio. Ma al museo dell’immigrazione andateci.  Male non fa’.

Tornata da là, ho fatto un giretto in zona e poi shopping. Si era solo il primo giorno e c’era molto da visitare, ma sono una donna, ero a NY ed era sabato, che cosa vi aspettavate? Musei?!

Non mi soffermerò a raccontarvi dei negozi, perché potrei passare dallo scrivere un articolo allo scrivere un libro, senza nemmeno accorgermene, MA.. mi limiterò a dire AAAAAAWWWW. (faccina con gli occhi a cuore).

Torniamo a New York, finito lo shopping, mi sono avviata… Dove? Da nessuna parte ad essere onesta. Proprio a caso. E sempre a caso sono arrivata in un parco, posto perfetto per mangiare il pretzel che mi ero appena comprata.

4$ di pretzel, infatti credo di avergli detto ‘MECOJONI’ al posto di ‘Grazie’ quando me l’ha consegnato.
Ammetto che quel pretzel però poteva sfamare almeno tutto il terzo mondo, tant’è che l’ho smezzato con gli scoiattoli.

Ero incantata da quel parco, che poi ho scoperto essere City Hall Park. Non era niente di particolare in realtà, sarà stata l’aria di neve o il fatto che fosse circondato da grattacieli altissimi o per gli scoiattoli che rendono sempre tutto un po’ più fiabesco, fatto sta che se dovessi mai fare da guida a qualcuno, sicuramente lo porterei la a smezzare un pretzel in quel parco.

Alla fine sono riuscita a prendere la metro per tornare in albergo. Nel tardo pomeriggio, perché essendo sabato sera volevo poi uscire di nuovo per fare un giretto la sera. Quindi sono tornata, doccia veloce, aggiornamenti via whatsapp e.. ho preso sonno. Che amarezza, lo so. Ma a mia discolpa vorrei dire che era il jet lag, non sono sempre cosi.

Comunque è stato un errore madornale, mi sono ‘svegliata’ dopo due ore dicendo ‘Oibò ma in che epoca mi trovo?!’, quindi mi sento di consigliarvi: se mai doveste sentirvi stanchi al pomeriggio, CAFFE’, CAFFE’, CAFFE’, NON DORMITE! Indescrivibile la fatica che ho fatto per alzarmi, vestirmi e uscire.

Metropolitana fino a Time Square, sconsigliata a chi soffre di attacchi epilettici tra l’altro. Se devo essere onesta, non mi ha colpito granché. Caratteristica, sicuramente da vedere una volta, ma non è come te l’aspetti.time square new york
Sapete invece cosa mi ricordo bene di quella sera? Gli hot dog.  Spaziali. Però uno non basta, vi avviso già.

30 novembre
Secondo giorno, la storia si ripete, sveglia biologica alle 5.30.

Ho preso tempo e pianificato il programma. E per ‘pianificato il programma’ intendo dire che ho scelto un posto dove fare colazione. Volevo i pancake punto e basta. Beh fidatevi di me se vi dico che ho trovato IL posto dove mangiarli.
Precisamente Perishing Square, esattamente di fronte a Grand Central Station (che va’ vista).perishing square new york pancakes

Le recensioni consigliavano di prenotare, ma essendo da sola, ho detto ‘provo’e ciao.. non avrei neanche saputo come prenotare al telefono, mica per altro.
Effettivamente c’era una fila infinita di persone, stavo quasi per mollare ma visto che ero da sola hanno trovato un posticino subito.

PANCAKE E ATMOSFERA NATALIZIA

Nonostante il via vai pazzesco di gente e camerieri, l’aria era molto rilassata, natalizia e domenicale. Famiglie, coppie, turisti… e io. Da sola, come una povera stronza.
Ammetto che mangiare da sola all’inizio mi creava un po’ di disagio, quindi scrivevo, consultavo le cartine o chiamavo il servizio clienti Vodafone per far finta di avere almeno qualcuno che mi cercasse.  Poi grazie a Dio mi sono abituata e ho iniziato a occupare il tempo godendomi il momento e osservando quello che mi circondava…
Detto ciò, dopo il pain au chocolat di Parigi, questa è la colazione più buona che io abbia mai fatto. Premettendo che fosse per me mangerei ogni 15 minuti, vi dico solo che quel giorno non ho più toccato cibo fino alle 18 di pomeriggio. Mai ingerito cosi tanti zuccheri in vita mia.
Piatto di 4 pancake, grandi circa quanto un 45 giri, noce di burro da metterci in cima e da far sciogliere con una colata di sciroppo caldo, succo e una tazza di una sbrodaglia acquosa che mescolata al latte aveva un lontanissimissimo retrogusto di caffè.
Madonna mi sta aumentando la salivazione solo a ricordare.
Comunque era il primo pasto serio che facevo in un ristorante, quindi dovevo pagare e lasciare la mancia.

Eh, cosa ci vuole, direte voi? Eh non lo so, ma non l’avevo mai fatto e quindi mi ero perfino scaricata l’app. che mi diceva in base al conto quanta mancia lasciare per non fare la figura della poveraccia. (…)
Ti lasciano il conto, ci metti la carta di credito dentro, scrivi a penna l’importo della mancia che vuoi lasciare e loro si arrangiano. Taaac!

Pago, esco e mi dirigo rotolando verso la biblioteca pubblica, praticamente a due passi.
Che figata la biblioteca pubblica! Quella dove doveva sposarsi Carrie. Quella dove i Ghostbuster hanno avuto il loro primo incarico. Quella dove io sono arrivata ed era chiusa perché era Domenica. Quante bestemmie!
Ecco cosa vuol dire cercare i posti dove mangiare ma non controllare le aperture dei posti da visitare. Brava Michi!
Va beh, era comunque una bella giornata e non faceva freddo, quindi passeggiata fino al palazzo dell’ONU. La visita è andata più o meno cosi: ‘Ah è questo il palazzo dell’ONU. Ok visto’. Spallucce e via.

Forse anche perché con la mente stavo già pensando di andare a Central Park e non riuscivo più a pensare ad altro. Quindi sono andata verso.
Sono stata dentro a vagare senza meta per circa 3 ore, e ancora ritengo che siano state poche.central park autunno

Senza meta’ perché coincidenza vuole che tra le varie statue sparpagliate per il parco, l’unica che volevo davvero vedere (Balto), l’abbia trovata proprio appena entrata. Quindi il resto del tempo me lo sono goduto senza ricerche.
Ora, io vorrei veramente provare a raccontarvi cos’è stato per me quel parco. Come si è presentato, con quello strascico di colori di un autunno non ancora finito, con quella New York fatta di sterili grattacieli che lo circonda quasi a proteggerlo.. vorrei davvero raccontarvelo. Ma fidatevi di me se vi dico che non riuscirei.
Vi ricordate il sorriso di cui vi parlavo nell’articolo precedente? Quello che ho quando mi ricordo di essere felice.. Ecco a Central Park ne ho sfoggiato uno tra i miei più belli. E glielo dedicherei altre mille volte. Pazzesco!

Quello che successe più tardi quel giorno, ve lo lascio per il prossimo episodio. Non mi abbandonate perché da lì è cominciato il bello.
…. (PARTE 3)