Lettera aperta ad un padre
Lettera aperta ad un padre
Mio padre non è mai stato uno di quei padri super affettuosi, di quelli con cui ci si scambiano messaggi, con cui finisci le telefonate con un ‘ti voglio bene’ o semplicemente uno col quale ogni tanto scappa un abbraccio…
Non è mai stato così, almeno da quando ho memoria.
Ma nemmeno io sono mai stata quel genere di figlia. O forse mi sono solo adeguata.
Sapevo però, che il suo accompagnarmi all’asilo e leggermi il menu del giorno tutte le mattine era un suo modo di dimostrare.
Quando sei piccola il papà è un po’ il tuo eroe.
E io da piccola sognavo di diventare grande e un giorno poterlo ricambiare comprandogli finalmente la Porsche che tanto decantava, ne ero proprio certa che l’avrei fatto. Quanto la desiderava lui, tanto più io desideravo regalargliela.
Tutto pur di entrare nelle sue grazie ‘a gamba tesa’.
Quando mi comprai la prima maglietta dell’Inter, sfoggiandola fiera perché mi potesse vedere e fosse orgoglioso di me. ‘La sua unica figlia interista’ come mi chiama lui.
O tutti i regali ricercati per discostarmi il più possibile dai classici regali proposti dalle mie sorelle.. solite ciabatte, solito kit da barba, solita sciarpa e guanti.
No, io volevo regali pensati apposta per lui, perché si accorgesse di me e di quanto cercassi di entrare nel suo mondo.
Un mondo che ogni anno diventa sempre più difficile.
Ogni anno lo vedi con sempre più pensieri e preoccupazioni, ogni anno qualche ruga di più e qualche parola di meno.
E tu vorresti solo sollevarlo da tutto. Vorresti solo dirgli che ti ricordi ancora di quando ti leggeva il menu la mattina a scuola o che i sabati pomeriggio passati a imparare a giocare a scacchi ascoltando vinili di Neil Young, sono tra i ricordi più belli che hai. O dirgli semplicemente che sei ancora la sua bambina ma che non deve più preoccuparsi per te perché ormai sai badare a te stessa.
Ma non sai come fare… non l’hai mai fatto. Ti vergogni.
E allora pensi che vorresti essere una di quelle tue amiche che si scambiano messaggini col padre durante il giorno e che gli dicono ‘ ti voglio bene’ con facilità.
Ma non lo sei e anzi sareste entrambi capaci di fare un viaggio di 2 ore in macchina non scambiando nemmeno una parola. Con quell’imbarazzo che solo chi conosce il genere di situazione può capire.
63 anni lui, 27 io, forse non gli dirò mai ‘ti voglio bene’.
Forse non saremo mai quel genere di padre e figlia.
Forse per la Porsche dovrà aspettare un po’.
Ma quel che è certo è che il 13 Luglio lo porto a vedere Neil Young.
Solo noi.
Tanto ai concerti mica bisogna parlare, no?
Se volete QUI troverete le immagini dell’artista Snezhana Soosh che con alcune immagini splendide è riuscita a ricreare tutto questo.