Tag Archivio per: viaggio da sola

Viaggio sola Islanda

Islanda

Islanda, viaggio in solitaria

Premessa:  Come sempre specifico, questo non è travel blog e questa non è una guida, è il racconto anticonvenzionale del mio viaggio in Islanda. Qui troverete solo tutto ciò che ho vissuto in otto giorni. Tutti i consigli pratici per affrontare un viaggio così, i costi, l’itinerario e ciò che potrebbe servirvi se decideste di partire da soli per l’Islanda, ve li caccio QUI (in manutenzione). E chiaramente sono assolutamente a disposizione per qualsiasi domanda stupida vi venga in mente, io me ne sono poste tantissime.
Come ci sono arrivata in Islanda lo potete leggere qui invece.
La colonna sonora, che per quanto mi riguarda è stata fondamentale, ve lo messa proprio qui sotto, nel caso (e lo consiglio vivamente!) la vogliate ascoltare per accompagnare la lettura. Se invece preferite aprirla dal vostro Spotify, cliccate
QUI

Reykjavik

Quando si sono aperte le sliding doors dell’aeroporto e ho sentito per la prima volta l’aria islandese fredda e bagnata sul viso, ho risentito tutto.
Ho sentito quella sensazione che avevo dimenticato, o che forse avevo solo accantonato per un po’. Quel sentirsi ok per una volta.
Perché è così… Se a 24 anni la prima volta che atterri da sola lontano da casa il tuo primo pensiero (e anche il secondo) è «Eh, ecco, questo è quello di cui voglio vivere per sempre, viaggi. Viaggi e racconti» e inizi a rincorrere quel sogno, a fantasticare, a credere davvero di poter essere così fortunata da poter vivere una vita intera con quella sensazione di gioia costante, con quella continua bellezza davanti agli occhi ogni giorno, con la libertà di scegliere dove dormire, cosa mangiare, creandoti una giornata diversa ogni fottuto giorno… Beh a 32 non è più così.
E va bene, va bene così! Impari che va bene così.

Se non sei davvero uno tra quei fortunati (o coraggiosi) che riescono a crederci talmente tanto da poterlo fare davvero, allora negli anni realizzi semplicemente che tutto quello che avrai tu sarà quel momento. Il momento in cui si aprono quelle porte scorrevoli e tu, dopo il primo passo fuori dall’aeroporto e dopo aver fatto il primo respiro profondo di quell’aria nuova, apri gli occhi, e vedi davanti a te tutto quello che al passo successivo ti travolgerà.

Hai la consapevolezza che islanda aereoporto viaggio solaquello che stai per vivere è la dimensione reale di quel tuo sogno. Sono il ‘premio’ per quei 350 giorni l’anno di quel lavoro che tanto odi, sono lo stesso caffè e la stessa strada percorsa ogni mattina, sono le notti passate su Instagram a vedere le foto di chi c’ha creduto davvero, sono tutti quei discorsi esistenziali fatti davanti ad una bottiglia di vino con qualcuno che esattamente come te si sente ancora solo, in mezzo ad un milione di decisioni mai prese… ed è proprio lì, davanti a te, e al prossimo passo sarà realtà. Anche se soltanto per pochi giorni.

Ma non avrà importanza se saranno 5 giorni, o 10 o 20. Sei nel qui e ora.
E per quanta paura tu possa avere che qualcosa possa andare storta o che finisca tutto troppo presto, puoi fare semplicemente e inesorabilmente una cosa soltanto:  il primo passo.

 

REYKJAVIK, 10/09/2021

Primo giorno andato.
In verità sono arrivata a Keflavík alle h.17, dopo aver vagato per almeno 25 minuti nel parcheggio dell’aeroporto in cerca del punto noleggio e aver ritirato l’auto, ne ho passati altri 40 nel traffico di Reykjavik, così giusto per testare l’auto nuova e la mia capacità di guida islandese. E con testare intendo, oltre ad una croccante partenza in salita in una delle strade più trafficate di Reykjavík, anche una bella grattata sul marciapiede di fronte all’ostello.
So per certo di aver grattato perché oltre al
rumore, ho controllato il danno sotto il paraurti e c’era scritto: BENVENUTA in islanda!

Ma tanto spallucce, perché con tutti i soldi che ho speso in assicurazioni per l’auto, almeno ho la certezza che non sono stati buttati. Shut up and take my money! 

Reykjavik islanda viaggio sola

Reykjavik

 

Tempo di sistemarmi un attimo in stanza, lanciare la valigia, conoscere i miei 7 coinquilini e via… Per dare una prima respirata alle strade umide di Reykjavík.
Ore di luce me ne rimanevano gran poche e a dire il vero anche di autonomia, perché la sveglia delle 4 del mattino, i due voli e lo scarico di adrenalina iniziavano a manifestarsi, sotto svariate forme. Due a voler essere proprio precisi: fame e sonno.
Ma prima fame.
Quindi giretto per le strade della capitale, passando praticamente subito di fronte a ciò che sarebbe dovuta essere l’attrazione principale della città, la cattedrale Hallgrímskirkja.

chiesa Reykjavik Hallgrímskirkja viaggio islanda sola

Hallgrímskirkja, chiesa di discutibile forma

Una chiesa di forma discutibile, che non capisci bene come interpretare e ancora meno come fotografare. Purtroppo era ormai chiusa visto l’orario, sennò una visitina per capirne l’anatomiaARCHITETTURA, volevo dire architettura interna, lo avrei fatto.

Comunque giretto sì, ma finalizzato alla ricerca di cibo. Che devo dire è stato fin troppo facile…

Ammetto di aver dato una rapida occhiata su Google al più classico deiMangiare a Reykjavike di aver avuto il culo di trovarmi proprio a pochi metri dal ristorante più quotato, famoso per la sua zuppa. (Ma devo anche dire, ad onor del vero, che Reykjavík non è Manhattan, quindi qualsiasi altro posto sarebbe stato ugualmente a pochi metri da me).

Visto il clima che mi aveva accolto, la zuppa era assolutamente apprezzata, e dunque…

Vada per la svarta kaffid zuppaZuppa!

Il posto era molto molto carino (Svarta Kaffid), piccolo ma ciò che mi serviva in quel momento per assestarmi.
E la zuppa (molto simile per non dire uguale, ad una versione mangiata a San Simeon in California, che sto ancora cercando di digerire!), era un delizioso mix di pesce servita all’interno di un grosso pezzo di pane a forma di cratere, che ricordava un po’ un vulcano… E non tanto per l’aspetto, ma per la temperatura lavica interna della zuppa. Indubbiamente una delle cose che più mi rimarrà impressa del viaggio, vista la perdita del gusto dopo il primo assaggio.
Il tutto chiaramente accompagnato da altro pane (nel caso quel kg e mezzo che fungeva da ciotola non fosse bastato) con del burro spalmato sopra, da inzuppare.

L’oretta successiva l’ho chiaramente trascorsa a girare per le strade colorate del centro di Reykjavík per digerire quel primo leggerissimo pasto islandese in coda a quello californiano.
Nottata super easy insomma.

 

Circolo d’Oro, 11/09/2021

Non capisco come sia possibile accusare il jet-leg più qui in Islanda (indietro di 2h) che nei viaggi oltreoceano…
Ore 4 del mattino occhi sbarrati che manco dopo un film horror. Avrei potuto approfittare per vedere in diretta il primo sorgere dell’alba islandese e invece indovinate un po’? Pioveva, claro che si!
Non solo, ho scoperto solo qualche ora più tardi che prima delle h.10 non avrei mai trovato assolutamente nulla di aperto per fare colazione.

Con comodo mi raccomando!

Tranne un posto; questa SandholtBakery, come la chiamano loro, che altro non è che un panificio, con all’interno qualche tavolo per fare le più svariate colazioni.
Pancake, bacon, noci pecan e caffè sarebbe stata la mia. Così, subito per darmi la giusta carica di zuccheri per affrontare bene le prossime due ore, perché sì, è chiaro che tra un paio d’ore la carica glicemica si sarà esaurita e il mio fisico richiederà ciò che sente spettargli di diritto, altro cibo.
E infatti ho preventivamente approfittato del panificio per comprare anche due panini per il pranzo… Consapevole che per strada, nei prossimi 8 giorni, la regola sarebbe stata solo una (su suggerimento): dove trovi cibo, benzina e acqua, COMPRA!

Chiaramente uno dei due panini è arrivato solo fino al molo di Reykjavík, (dove sono passata a fare una visitina veloce a Solfar, altra architettura di dubbia interpretazione).

Dovevo assaggiare, non è che potevo arrivare fino a pranzo con il dubbio che quei panini fossero immangiabili per poi rimanere senza cibo… No ok non è vero, ero certa fossero deliziosi e la tentazione era troppa, ho dovuto dare un morsetto. Don’t judge me!

 

Chiavi, cintura, occhiali da sole, no occhiali no è nuvolo, specchietti a posto e si può partire!?
Si può partire.
1 isola, 9 giorni, 2300km.

E andiamo! ring road islanda viaggio sola

 


Prima vera tappa

Pingvellir (o thingvellir) nonché prima tappa del cosiddetto Circolo d’oro d’Islanda. A circa 50km da Reykjavik.

Altro non è che un parco nazionale (oltre che patrimonio Unesco), dove puoi iniziare ad assaporare davvero il gusto di ciò che sarà l’Islanda (con il senno di poi, è davvero solo un assaggio!), passeggiando tra quelle che sono due placche tettoniche separate quella Americana e quella Eurasiatica.

geysir strokkur islanda viaggio sola

Strokkur

Ricordatevi di pagare il parcheggio alle macchinette, non come ho fatto io. Perché il grande fratello islandese vi vede e manda il conto all’autonoleggio con la sanzione. (LA PRIMA!!

Seconda tappa del circolo d’oro: Geysir

Anzi Geysir e Strokkur, due dei gayser più antichi e potenti d’Islanda.. Purtroppo solo Strokkur è  attualmente attivo, ogni 7/8 minuti dà spettacolo. E che spettacolo!

Devo dire che me la sono presa comoda…era veramente qualcosa di troppo incredibile per non guardare una decina di gettate.

 

Terza tappa: Gullfoss

Gulfoss cascata Islanda viaggio

Gullfoss

La prima di una lunga serie di cascate che avrei visto durante il viaggio. Una tra le più maestose.

Al momento devo dire che tutte le attrazioni in Islanda sono veramente a prova di turista(pigro), indicazioni, parcheggio e dopo 3 scalini bagnati sei nel punto più instagrammabile.
Fin troppo easy.

 

 

 

L’ultima cosa che avevo previsto di vedere per la giornata (ogni attrazione sopracitata è a circa un’oretta o qualcosa meno una dall’altra) era il cratereKerid“.

Vi risparmio la spiegazione scientifica, che tanto dai, non prendiamoci in giro, siamo su Mainagioia’s Channel, non su Discovery.

Kerid cratere Islanda

Cratere Kerid

È un cratere di roccia vulcanica rossa (ma non mi dire!), che con il verde della vegetazione cresciutagli intorno e l’azzurro dell’acqua che lo riempie è qualcosa di magnifico per gli occhi.

La passeggiatina su tutta la lunghezza della cresta è qualcosa da fare assolutamente, fosse anche solo per lo spettacolo che si ha da lassù. E anche in basso, intorno al pelo dell’acqua.

 

 

Devo dire che lasciato Kerid alle spalle, un po’ di stanchezza iniziava a farsi sentire, ma se anche ci fossero state altre cose da vedere anche a km di distanza, le sarei andata a vedere senza batter ciglio.

Avevo gli occhi e il cuore davvero pieni di tutta quella bellezza e non avrei mai voluto fermarmi. La Ringroad senza fine era qualcosa di pazzesco, i cavalli che correvano liberi nelle distese infinite, il sole che nel cielo aveva iniziato a fare capolino tra le nuvole, iniziando a colorare un po’ tutto con i colori del tramonto creando un panorama che neanche con tutte le parole o foto del mondo potrei mai riuscire a raccontare.

Non ero preparata a tutto quello. Non me ne capacitavo ancora. Eppure ero lì, da sola, a km e km da casa e da tutto ciò che avevo, a correre su quella strada vista solo in fotografia, con il cuore che mi esplodeva di libertà e di gioia. 

ring Road islanda viaggio

Ring road

E dalla playlist in radio è partitaGiudizi universalidi Samuele Bersani. 

«Vuoti di memoria, non c’è posto per tenere insieme tutte le puntate di una storia
Piccolissimo particolare, ti ho perduto senza cattiveria
Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone
Togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace…»


Perché è così che succede… Così si chiude il cerchio, così si chiudono i momenti perfetti, così dovrebbe chiudersi ogni giornata della nostra fottuta vita… così piene di tutto da sembrare surreali, da non darti nemmeno il tempo di scegliere se piangere di gioia o farti esplodere un sorriso, o entrambe. 

Islanda viaggio auto ring roadE mi sono goduta tutto, fino all’ultima nuvola.

 

Dopo essere arrivata in ostello, aver mangiato ed essermi ripigliata un po’, ho sperato, vista la giornata, nell’aurora boreale. Che chiaramente non ho visto, tranne sul telefono della mia compagna di stanza, che tutta fiera mi ha raccontato di averla vista qualche sera prima.

Anche lei viaggiatrice solitaria, stessa età, stessa auto a noleggio, ma giro dell’isola inverso al mio… Eppure quella sera eravamo entrambe lì in quella stanza. Incrociarsi per una sera  nel mondo per poi non rivederci mai più..
Passare la serata a chiacchierare era il minimo che dovessimo al destino.

 

Terzo giorno

Hvolsvöllur, Islanda 12/09/2021

Mamma mia… Ho appena finito una di quelle docce che ti fanno sentire per un po’ in pace con il mondo. Non sapevo che in una giornata ci si potesse prendere così tanta acqua, vento e freddo come quelle prese oggi.幕裏草子 — Cose che mi colpiscono di Pechino

Ma un momento, facciamo un passo indietro.

La sveglia è suonata alle 7.30, ma come una ordinaria Domenica i miei occhi si sono aperti ben prima del suono… Perché sì, che schifo dormire eh!

La colazione negli ostelli d’Islanda non è mai compresa, e allora tanto valeva andare a cercare qualcosina fuori e partire per il terzo giorno di viaggio il prima possibile. Ma come sempre, prima delle 10 niente, manco la Domenica…possibile? Non fanno mai colazione fuori sti islandesi? Non vi alzate mica prima delle 10? Cosa mangiate la sera: salmone e melatonina??? Boh.

Va beh, ho quindi optato per la colazione a pagamento in ostello, che come disse la mia compagna di stanzaNot orrible but not the best“...che da noi è tradotto con Graziearcazzo!

Andava benissimo, anche perché l’alternativa sarebbe stata partire e viaggiare senza caffeina in corpo fino alle 10, che ANCHE NO!!

Fuori, cielo grigio piombo e aveva cominciato a scendere una leggerissima, fastidiossissima e costante pioggerellina. Un classicone islandese ho scoperto.

Mentre guidavo in direzione della prima tappa del giorno, cantando ogni canzone della playlist e godendomi ogni istante di quel panorama nonostante la pioggia e le nuvole basse.. Ho buttato lo sguardo in direzione di una enorme cascata che si intravedeva all’orizzonte. Ammirandone la maestosità anche da quella distanza e chiedendomi come mai non fosse segnalata tra le cose da vedere, né nel mio itinerario del giorno.

                          MAPORCCC*!!!

Seljalandsfoss islanda cascata

Occhi felici, si vedono si?

Sì, era tra le tappe della giornata nel mio programma, se solo mi fossi presa la briga di guardare l’itinerario, anziché basarmi sulla mia memoria, palesemente non affidabile.

Breve inversione di auto e via verso la cascata.

In realtà sono rimasta 15 minuti seduta in auto nel parcheggio prima di scendere, cercando di decidere se posticipare la visita nel pomeriggio, confidando in un clima più clemente o se godermi quella pioggia islandese che tanto sognavo i giorni prima di partire.
Ma oh, siamo in Islanda e quella era una cascata… Se non mi avesse bagnato la pioggia, mi avrebbe comunque lavato la cascata. Bagnata per bagnata tanto valeva andare. E poi devo essere onesta…Avevo una inspiegabile, malsana e assurda voglia di sporcarmi, bagnarmi, cadere, rialzarmi e ricominciare!

E così è stato.

La prima cascata sono riuscita a farla la bellezza di due volte, la prima godendomela e scattando almeno 1000 foto. La seconda, dopo essermi resa conto che 999 foto avevano almeno due gocce davanti. Veritiere, ma non instagrammabili, quindi sì, perché non prendersi un’altra secchiata di acqua e rifarla da capo?! 

Era solo la prima tappa e nonostante l’abbigliamento tecnico ero già quasi al limite della capienza d’acqua. (Illusa. Non ero neanche a un quarto di quello che avrei poi preso quel giorno)

 

Seconda tappa: il ghiacciaio solheimajokull.Islanda
O almeno mi pare si chiami così, han nomi assolutamente assurdi.

Anche questo come tutte le altre “attrazioni” ha un parcheggio e un percorso ben segnato per arrivare fino alla parte da non oltrepassare.
Percorso che chiaramente non ho seguito e soprattutto parte da non oltrepassare che ho chiaramente oltrepassato con nemmeno troppa nonchalance. Tutte cose molto raccomandabili da fare in un viaggio da soli in un’isola semi deserta in mezzo all’Oceano. Brava.

A mia discolpa posso dire che sì il percorso era ben definito ma come è definito un sentiero in un bosco, voglio dire, nessuno ti vieta di uscire dal sentiero per addentrarti nel bosco. Chiaramente in questo caso allontanarmi dal percorso fino a toccare l’acqua, per vedere il ghiacciaio più da vicino possibile poteva essere leggermente più pericoloso..e devo dire che sì, ero un po’ intimorita nel vedere tutte le persone seguire rigorosamente il sentiero mentre io (generalmente coraggiosa come Re Giovanni) scendevo sempre di più verso tutti quegli iceberg che galleggiavano nell’acqua. e anche un po’ dal cartello che, cito testualmente:

Cercate di non cadere in acqua perché durereste al massimo una manciata di minuti

È vero, non avrei dovuto, ma per vedere e toccare con una mano l’inizio di un vero e proprio ghiacciaio ne è valsa la pena, tanto che gli ultimi 20 metri per arrivare a toccare il primo pezzo di ghiaccio li ho fatti correndo, non so nemmeno perché. Non so nemmeno quand’è che il mio passo ha iniziato a farsi sempre più accelerato, assieme al cuore, né il momento esatto nel quale ho capito che camminare non mi bastava più e ho letteralmente iniziato a correre sorridendo, pur di arrivare ad un passo dal ghiacciaio.

In tutto ciò vento e pioggia non avevano mai smesso di andare di pari passo, anzi. Le mie mani avevano assunto delle sfumature che andavano dal fucsia al violaceo e sì iniziavo ad avere acqua veramente ovunque.
Non m’importava. Non me ne importava nulla.
Sono risalita in auto completamente bagnata e ghiacciata, nel senso più letterale del termine. (Temperatura 6°. Percepita -1°).

E avevo fame.
La cittadina dovrei avrei alloggiato era una delle più grandi che avrei trovato in Islanda (Vík í Mýrdal), più grandi significa che anziché avere 2 case, come quelle che avrei trovato nel resto dell’isola, questa poteva averne almeno 4, forse addirittura 5. Tra le quali c’era il The Soup Company, locale specializzato in zuppe (ovviamente). Sì ormai mi ero presa bene con le zuppe e nonostante avessi, chiaramente, voglia di provare qualsiasi cosa di nuovo mi avesse offerto l’Islanda, avevo davvero bisogno di qualcosa che mi scaldasse dall’interno.

soup islanda viaggio

The Lava Soup – Soup Company

Ciotola gigante di pane nero (The Lava Soup), zuppa di carne, verdure, spruzzata di peperoncino, patate, case, libri, auto, fogli di giornale… e ovviamente sempre il pane con i burro da buttare dentro per la gioia del dott. Nozwaradan. ERA SPAZIALE!

Non solo, il refill era gratuito. Se finivi la zuppa e ne volevi ancora, potevi tranquillamente chiedere al cameriere che ti riempisse il cratere nuovamente (magari non proprio in questi termini!). Generalmente non sarei riuscita a fare il bis, stavolta però si, eccome.

Finita la zuppa la mia temperatura corporea era passata dall’ipotermia a circa 41°.
Potevo ripartire, almeno per arrivare fino all’ostello, lavarmi e studiare il da farsi.

 

L’ostello era il The Barn. Uno degli ostelli più belli che avessi mai visto. Farmi una doccia bollente, lavarmi addirittura i capelli perché c’era una intera postazione di specchi con dotazione di phon, mettermi vestiti asciutti e buttarmi con un cappuccino enorme su una delle loro poltrone, è stata un’esperienza mistica.

Dopo la doccia ero davvero una persona migliore e dopo la giornata avevo assoluta necessità di scrivere. Così ho fatto; il pomeriggio è volato tra un caffè, lo scrivere e qualche chiacchiera con gente che veniva da qualsiasi parte del globo. Fuori ancora non smetteva di piovere e anzi, le raffiche di vento erano diventate davvero forti, infatti non ero l’unica ad aver alzato bandiera bianca quel giorno.

Ho ripreso la macchina solo in serata, per trovare un posto in centro a Vik dove mangiare un hamburger, per poi tornare in ostello e spegnere tutto.

 

Quarto giorno

Vik, 13/09/2021

Ho il cuore che mi esplode, letteralmente.
Vorrei urlare, piangere, calciare la sabbia, abbracciare tutti.
Come cazzo si fa a vivere 350 giorni l’anno lavorando, odiando tutti e in un giorno solo riuscire a farsi esplodere il cuore così. In una giornata sola!

La giornata era partita con pioggia, ancora tanta pioggia. E per quanto ieri, nonostante tutto, la giornata fosse stata romantica da passare in ostello a scrivere, ammetto che oggi confidavo nel sole o quantomeno in una nuvolosa tregua.
Ho passato una buona mezz’ora durante la colazione a capire se cambiare itinerario al mio viaggio, rinunciando al giro completo, in modo da poter dare una seconda chance alle cose non viste (o viste sotto il diluvio), o proseguire sul percorso stabilito.

Ho rimandato la decisione perché troppo difficile da prendere e ho deciso di vedere comunque tutto nonostante la pioggia… Ed è stata la miglior decisione presa. islanda

 

Prima tappa: Skogafoss   

Cascata.. Ma immagino che ormai abbiate intuito che Foss vuol dire solo una cosa. Dieci minuti buoni chiusa in auto a riflettere ancora un po’ sul “Vado e mi piglio tanta altra acqua o aspetto smetta?” non smette, non smette mai, scendo!

Cascata sempre ovviamente pazzesca. Altre secchiate di acqua e vento, 800 foto, tutte con almeno una goccia davanti come da copione… Spallucce.

 

 

 

 

 


seconda tappa:
 Sólheimasandur

Solheimasandur Plane Wreck Islanda viaggio

Il tragitto per arrivare al relitto. Ditemi se vedete un posto dove poter fare pipì?

Il relitto del Douglas Super DC-3 della US Navy, costretto nel Novembre del ’73 ad un atterraggio d’emergenza proprio nella spiaggia di Sólheimasandur. Mi avevano detto che il tragitto a piedi per arrivare sarebbe stato lungo, ma non credevo COSÌ lungo. Che in realtà non sono molti km perché sono solo 7km (a/r), ma vi sembreranno infiniti perché totalmente in mezzo ad un vero e proprio deserto di sabbia nera.

Sapevo che questa seconda tappa sarebbe stata con tutta probabilità la più impegnativa, perché più lunga e soprattutto a cielo aperto, il che significava almeno tre ore buone di pioggia e vento senza alcuna possibilità di riparo. Non mi interessava, ero su di giri, ero viva, volevo bagnarmi, sporcarmi e divertirmi.
Armata di euforia e abbigliamento tecnico ho abbandonato l’auto al parcheggio e sono partita.
Dopo ben 50 metri ho iniziato a pensare ad una cosa sola… Pipì. Mi scappava. Non così tanto da non riuscire più a tenerla, ma abbastanza da occuparmi i pensieri. Il problema era che se fossi andata avanti non avrei mai trovato un posto dove farla per i prossimo 7km e se fossi tornata indietro, oltre a perdere i 50m già fatti, non avrei comunque trovato un posto dove farla.

Merda!

Ho iniziato a pensare di dovermi per forza “imboscare” da qualche parte lungo il tragitto, il punto è che “imboscarsi” in mezzo ad un deserto non è affatto facile, forse addirittura impossibile visto la mancanza di ‘alberi’, mi avrebbero vista ovunque… Soprattutto perché sarei dovuta uscire dal tracciato.

Ho adocchiato una roccia che da lontano pareva più grande delle altre, che mi avrebbe potuto nascondere e mi ci sono avviata, noncurante del fatto che tutti dietro di me non capissero dove cazzo stessi andando.

La roccia oltre ad essere più distante di quello che sembrasse era anche più piccola, ma era la mia unica chance quindi vada per la roccia. Così come io vedevo il resto delle persone proseguire ordinatamente sul tracciato, loro sicuramente potevano vedere me, ma non così nettamente da capire cosa stessi facendo… Tipo una foto molto ravvicinata a questa splendida roccia vulcanica uguale a tutte le altre milleottocento viste in giro.

Madonna ho fatto pipì in mezzo ad un deserto di sabbia nera! 

Islanda Solheimasandur Plane Wreck

Solheimasandur Plane Wreck

 

Dopo, devo dire che ero come nuova, pronta ad affrontare la promenade sotto la pioggia e con il vento contro.

Obbiettivamente la camminata pareva infinita, ma il panorama, almeno quello che ho beccato io (comprensivo di situazione meteorologica) era surreale. Le nuvole, poi un sole nascosto, poi la pioggia a dirotto, poi le raffiche di vento. Era assurdamente perfetto! E sono abbastanza sicura che con il sole non sarebbe mai stato lo stesso.

 

 

Sono rimasta lì nei dintorni del relitto almeno un’oretta, perché nonostante avessi perso la totale mobilità delle dita delle mani, non volevo andare via. Era pazzesco.

Chiaramente il ritorno è stato più veloce, non si capisce perché ma pare sia durato meno.

 

Terza tappa:  Dyrholaey e la spiaggia Reynisfjara

Questa quarta giornata era forse quella più carica di cose da vedere, e nemmeno troppo vicine le une dalle altre. Soprattutto perché le tappe viste fino ad ora erano in realtà previste per ieri. Ma posticipate causa pioggia. Cavalcando l’onda del:

Risparmiarsela ieri per prendersene di più oggi

Le prime vere tappe della giornata dovevano in realtà essere il promotorio di Dyrholaey e la spiaggia Reynisfjara.

Dyrhólaey promontorio islanda

Dyrhólaey

 

A pochi km di distanza. Entrambe hanno la capacità di lasciare senza fiato.
In cima al pro
montorio di Dyrholeay tira un vento fortissimo (occhio alle portiere dell’auto), ma la vista della spiaggia da lassù è qualcosa di spettacolare. Non credevo di potermi stupire così tanto, cioè sì sapevo che avrei visto cose incredibili in un viaggio del genere, ma cavolo… Così tante e così assieme?! E invece ogni km nuovo era un nuovo WOW!

 

Anche la spiaggia di Reynisfjara (detta anche Spiaggia nera)  a pochi minuti di auto, ha dato il suo contributo. La giornata era molto scura, nonostante ogni tanto qualche raggio di sole lontano in mezzo al mare battesse un colpo, le onde anche a riva erano veramente altissime, tanto che (sempre molto coscienziosamente) avvicinandomi per fare una foto alle colonne basaltiche, ho dovuto essere abbastanza veloce da arrampicarmi sopra una di esse per non essere travolta da un’ondata arrivata più a riva del previsto. Tutto assurdamente  surreale.  La sabbia nera, il mare ancora più scuro, contrastato dalla schiuma a riva, la nebbia e il cielo, erano tutto parte di un qualcosa di mai visto prima, e del quale non immaginavo nemmeno l’esistenza.

Reynisfjara spiaggia nera Islanda

Reynisfjara, la spiaggia nera

Era assurdo. Era tutto assurdo. E non ne avevo mai abbastanza…

Si ok è vero, stavo prendendo davvero tanto vento, acqua e freddo, ma non aveva importanza, era tutto perfetto nel momento perfetto. Sembrava che qualcuno dall’alto stesse seguendo la mia giornata e cercasse di divertirsi mettendo alla prova la mia resistenza… Eppure niente, sorridevo quando la pioggia ricominciava a martellami, sorridevo quando sembrava dare addirittura tregua magari lanciando un raggio di sole in mezzo all’oceano come a dire, «Io ci sono eh sono solo dietro le nuvole», sorridevo quando dovevo fermarmi perché il vento non mi faceva camminare…qualsiasi cosa, era la benvenuta.

 

 

E poi il viaggio in macchina, la strada infinita, la pioggia, poi il diradarsi delle nuvole, il sole di nuovo, un accenno di rosa al tramonto… Rosa? Vuol dire che ci sarà un tramonto? Un tramonto vero? In Islanda?? Non ci sono mai tramonti visibili qua…

Euforia totale!

Ammetto che ero un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, ed ecco perché se dovessi rifare questo viaggio (cosa che mi auguro), forse prenderei un minivan più che un’auto. Per non essere vincolata alle tappe prenotate.

Ho dovuto saltare una cascata per riuscire ad arrivare in ostello ad un orario decente, ma soprattutto non vedevo l’ora di vedere con la luce della sera la Diamond Beach.

Sono arrivata alla laguna di Jökulsárlón 10 minuti prima del calare del sole…Non mi sembrava vero, lo spettacolo che mi sono trovata di fronte appena arrivata al parcheggio è stato davvero troppo.
E appena messo piede in spiaggia non ce l’ho più fatta.
Ho pianto. Ho pianto davvero.

Per quello spettacolo, per tutti quelli che avevo visto fino a quel momento, per quel viaggio, per me, per tutto il dolore, per tutto quello che è successo in questi anni… Per tutto quello che mi ha portato lì in quel momento, ne ero grata, immensamente grata. Come se avessi finalmente capito. Finalmente quel “click” che in tanti mi avete detto avrei un giorno sentito.

È stata forse una delle giornate più belle della mia vita. Più piena di vita, più piena di me.

 

Jökulsárlón diamond beach

Jökulsárlón Diamond Beach

Cavalcando l’onda di quella magia e del fatto che il cielo fosse di un’assurda limpidezza, ho puntato qualcosina anche sull’aurora boreale.

Mollata giù la valigia in camera (al Reynivellir II) e mangiato qualcosa, mi sono rivestita e ho ripreso la strada verso la laguna.. A quanto pare uno dei punti più strategici per gli avvistamenti.

In realtà mi sono fermata un po’ prima, in una delle tante rientranze che si trovano lungo la strada… Che di giorno ti salvano se vuoi fermarti all’ultimo per fotografare una di quelle stronze di pecore con le corna che non si fanno avvicinare manco morte, ma di notte sei completamente al buio in mezzo al nulla totale con 5 gradi e ogni tanto qualche camion che passa lungo la strada con dei fari da stadio e che ti fa tremare l’auto passandoti vicino.

Sono rimasta circa 2h forse meno lì in attesa, occupando il tempo cercando 1000 e uno modi nei quali avrei potuto morire o essere uccisa in quella circostanza, senza che nessuno se ne accorgesse, e usando il cellulare solo per controllare le previsioni dell’Aurora sul sito, così da non scaricarlo (con il freddo, il cellulare e la macchinetta si scaricano 3 volte più velocemente, portatevi 3 batterie di cambio e innumerevoli powerbank, cose che a me hanno salvato la vita).

Dopo due ore però, ho ceduto. Dopo la giornata pazzesca era meglio non cagare fuori dal vaso.

E dopo una doccia credo di aver preso sonno felice in 4 minuti spaccati.

 

 

QUI LA PARTE II

 

 

aboutme_michela gallo_mainagioia is the new black

Lettera aperta ad un’amica per imparare ad amarsi

Lettera aperta ad un’amica per imparare ad amarsi

Ogni donna da quando nasce, convive con un carico di insicurezze che dovrà imparare a gestire.
Ci passiamo tutte, me compresa.
Qualche kg di troppo, le tette troppo piccole, il naso troppo grande, la timidezza, qualche segno sul viso…

Ci guardiamo tutte, ci critichiamo tutte e ci invidiamo tutto. Senza mai soffermarci su cosa gli altri invidino a noi però.
Ci moltiplichiamo le insicurezze volontariamente.
Ma arriva un momento, un periodo, in cui dovremmo fermarci e chiederci se ne vale veramente la pena.

Vale la pena combattere contro i mulini a vento per una vita intera?

Ed è da quel momento che decidi quali priorità dare alla tua vita.


Dicono che non potrai mai amare nessuno se non impari ad amare prima te stesso.
Nessuno però ti dice che sarà tra le cose più difficili da imparare.
Nessuno t’insegna a farlo.


Io non solo non ne ero capace, ma ne ero terrorizzata.
Ma, ho imparato ad allacciarmi le scarpe, ho imparato a mettermi l’eyeliner da sola, avrei imparato anche quello quindi.
Inizi da un film al cinema da sola.
Un viaggio sola dalla parte opposta del mondo.
Una cena da sola in un locale pieno di coppie e gruppi di amici.
«Ma non ti stufi di fare tutto da sola? Il bello è condividere‘».

Lettera aperta ad un’amica per imparare ad amarsi

No. Il bello è viversi le cose consapevolmente.

Il bello è stare in mezzo al ponte di Brooklyn, chiudere gli occhi, braccia al cielo, fare un respiro profondo e sentire il sorriso esploderti in faccia.
Condividere sarà un valore aggiunto.

Non puoi condividere qualcosa che non hai prima reso un po’ tuo.
E allora capisci che i kg di troppo, le tette piccole, i segni sul viso, non sono altro che TE..
Capisci che, un vestito che ti piace tanto ma che ti cade male sui fianchi, non è un vestito che fa per te.
Ma ce ne sarà un altro che addosso a te sembrerà disegnato apposta. E ti sentirai bella.
Che un uomo che ti piace tanto ma che non ti richiama dopo il primo appuntamento, non è un uomo che fa per te.
Ma ce ne sarà un altro che mentre tu sarai li sul ponte di Brooklyn, sorriderà a sua volta, contagiato dal tuo sorriso che non sarà dipeso da nessuno se non da te stessa. E ti sentirai felice.
E condividere sarà così.
Capirai che non esiste nessun ”Non posso vivere senza di te” ma solamente i ”Posso vivere senza di te, solo che non voglio farlo”.
Ovvero capirai che la tua vita viene prima. Di tutto.

new york viaggio sola

Viaggio da sola a New York (part.5)

Ancora a New york, le proposte di matrimonio e l’NBA

(parte 4 QUI) Penultimo giorno di New York per me, ultimo articolo per voi.

Tristi? Beh lo ero anche io. Parecchio anche. New York non è una città che ti passa dentro senza lasciarti nulla.

Ma un po’ come quando mangio qualcosa e lascio la parte più buona sempre per ultima, anche con New York ho fatto lo stesso.

Mi sono alzata con un po’ di tristezza addosso. Non volevo tornare. C’avevo preso gusto.

L’aria ghiacciata appena uscivo la mattina, il bicchierone di caffè che mi scaldava le mani, la gente sempre di fretta, l’alzare la testa per vedere il cielo sopra i grattacieli e capire che tempo ci fosse… ero ancora là, eppure già mi mancava.

C’era ancora una giornata davanti però, quindi dai.

Per l’ultima colazione sono tornata da Perishing Square (fronte Grand Central), non potevo andarmene senza aver rimangiato quei pancakes spaziali.pancakes new york perishing

Stavolta però banana e scaglie di cioccolato, solito burro da sciogliere sopra, caffè e succo. Ho mangiato tutto.

92 minuti di applausi dal parte del mio colesterolo.

Volevo far scorta per tutto il giorno, per non sprecare poi tempo mangiando a pranzo.Volevo godermi New York e basta.

Che poi pensandoci, anche godermi quella colazione, in quel posto, senza pensieri… faceva parte del godermi New York.

Era una splendida giornata e c’era una cosa che ancora non avevo fatto. Salire sull’Empire. Vamos allora!

86esimo piano. Un’ora e mezza di fila. Mi sono sembrati un’eternità. Sia i piani, che l’attesa.

empire tramonto

Però…

Sembra una frase fatta, ma effettivamente pareva di essere in cima al mondo. D’altronde sei in cima all’Empire State Building a New York, non sul campanile della chiesa di Poggibonsi. (Con rispetto ovviamente).

Comunque io ero li che giravo, facendomi i fatti miei, in cerca di un posticino per godermi lo spettacolo da sola (che suona tanto come metafora di vita).

Riflettendo sul fatto che magari sarebbe stato più bello, condividere tutto quello con qualcuno.

O magari anche no.

Alla fine, ho trovato un posto vicino ad una coppia di ragazzi, 20enni al massimo, che si stavano sbaciucchiando. Questo mi ha portato a protendere per il ‘Magari anche no’ nella mia riflessione.

Ma comunque, ad un certo punto il ragazzo si è girato verso tutta la gente che c’era, richiedendo l’attenzione di tutti. Si è inginocchiato e ha tirato fuori una scatolina nera.

L’ha aperta di fronte alla ragazza, che è ovviamente scoppiata a piangere, in mezzo agli applausi della gente. (Quando si dice ‘vincere facile’)

Beh, io in tutto ciò ero ancora li a fianco eh! (Se la metafora della mia vita non vi fosse ancora abbastanza chiara.)

Scuotendo la testa e dicendo ‘Cupido, bel tentativo, ma ci vuole ben altro per convincermi.

Sono cinica si, ma voi non avete visto quell’anello, era veramente orrendo.

Quindi ho abbandonato la coppia felice e ho finito di godermi il mio panorama in solitaria.

Tornata nel mondo reale mi sono diretta verso Brooklyn.

Eh si perché quel giorno era il ‘GAME DAY’, ovvero avevo la partita da andare a vedere. E ormai non riuscivo piu a pensare ad altro.

Oltre alla classica passeggiata sul ponte di Brooklyn, che tanto fareste comunque anche se vi dicessi di non farla, fatevi anche tutta la Brooklyn Heights Promenade (camminata che costeggia il fiume, con vista sulla parte bassa di Manhattan).

Poi ovviamente addentratevi e perdetevi per Brooklyn.

brooklyn quartiere viaggio new york

Alle 19.30 aprivano i portoni del Barclays Center. Arena nuova di pacca, dei Nets ovviamente. No non sono andata al Madison, perchè ci giocano i Knicks. E a me il basket piace.

Alle 18 io ero già là ad aspettare.

Alle 19.40, cioè con 77 minuti d’anticipo sul fischio d’inizio io ero già seduta al mio posto. Ovviamente in piccionaia, perché quel poveraccio di Jay Z non mi aveva tirato fuori l’accredito per farmi sedere tra lui e Beyonce a bordocampo.

Aldilà dell’ovvia trepidazione, (simile solo a quella che ho la mattina di Natale) per la partita, il mio anticipo era dovuto al fatto che speravo di riuscire a fare qualche foto nel pre partita. ILLUSA.

Quell’arena è inespugnabile, c’erano più steward che posti a sedere.

Vedevo la gente a bordocampo fare foto con Tim e con Manu. E io cosi:

barclays center nets spurs new york

Ma stavo per vedere Spurs-Nets, al Barclays, niente poteva abbassarmi il morale.

Non mi mancava nulla: partita in diretta, 20$ di bibita e popcorn , tifo indiavolato e abbraccio con i ragazzi texani che mi erano seduti vicino, quando hanno scoperto che venivo dall’Italia per vedere gli Spurs.

Diciamo che vedere la partita dal computer, in piena notte, nel buio della mia camera, con le cuffie, è leggermente diverso da com’è stato quella sera.

Il basket fa’ solo da contorno.

Cinque piani di ristoranti/baracchini per scegliere cosa mangiare durante la partita, cheerleaders,  kisscam, dancecam, popcorn e bicchieri che volavano ad ogni canestro di Teletovic, cori… Non sarei più andata via.

E in effetti qualcuno deve avermi ascoltato, perché c’è stato l’overtime. P A Z Z E S C A.

Nonostante sia stata la prima ad arrivare, sono stata comunque l’ultima ad andare via. Come al cinema quando un film mi è piaciuto e sto fino alla fine dei titoli di coda. Non volevo proprio alzarmi.

Purtroppo era finita. Ed essendo passata la mezzanotte, tecnicamente era anche finita la mia vacanza. Sono tornata in albergo, respirando a pieni polmoni tutta quell’aria di New York. Come dovessi farne scorta.

La mattina seguente avevo solo mezza giornata a disposizione e senza il minimo dubbio l’ho passata a Central Park.

Mi ero anche ripromessa di andarci una volta per fare jogging, ma il mio livello di sportività è non sapere nemmeno come si scrive jogging… e poi non ci vado nemmeno a Padova. Quindi dai facciamo i seri!

In ogni caso, cappello, sciarpa, musica nelle orecchie e noccioline per scaldarmi le mani (si lo ammetto, anche per gli scoiattoli. Ma era più forte di me, sono così cariniii) e via a scoprire gli angoli più nascosti del parco…

Nel tragitto in taxi dall’albergo all’aeroporto, ho sentito gli occhi riempirsi. Forse c’era troppa New York dentro e non c’era più posto per le lacrime. Beh, almeno una ne è scesa sicuramente.

Non ero triste. Non ero nemmeno felice. Ero tutto.

E un po’ come ho capito a Parigi, era quella la sensazione alla quale puntavo quando ho deciso di iniziare a viaggiare…

new york viaggio sola

C’ho provato, ma non potevo raccontarvi tutto ciò che ho visto, fatto e provato in quei giorni. Vi ho risparmiato la visita al negozio di giocattoli di ‘Mamma ho perso l’aereo‘, lo zoo di Central Park, la sua pista di pattinaggio, il mio perdermi almeno due volte al giorno sbagliando treno in metropolitana… e potrei continuare..

Ma magari qualcosa la tengo solo per me.

Però per qualsiasi dritta o consiglio vi rispondo molto più che volentieri.

Ah ovviamente non era necessario, ma come vi dicevo, quando un film mi è piaciuto rimango seduta al cinema fino alla fine dei titoli di coda… anche per godermi tutta la colonna sonora.

Quindi per chi vuole, lascio anche un po’ della mia di colonna sonora, fatene buon uso:

Sixpence None the Richer – It came upon a Midnight Clear

Sara Bareilles e Ingrid Michaelson- Winter song 

The Rescues- All I want for Christmas

Pentatonix – Little Drummer boy

Lily Allen – Somewhere only we Know

Tom Odell – Real Love

Da Nuova York è tutto. Ci si becca al prossimo check-in no?

New York central park viaggio sola mainagioiaisthenewblack

Viaggio a New York da sola (parte 2)

Dov’eravamo rimasti? Ah si, appena arrivata a New York.
Eh, vorrei tanto dirvi che ho messo giù la valigia in albergo e sono uscita per una prima esplorazione, ma no. Sono morta a letto. Si lo so, sono una sfigata.. appena arrivata a NY e vai a letto? Beh si.

Il Jet leg non perdona nessuno.

In compenso alle cinque di mattina ero sveglia. Sveglissima anzi. Si perché ho aperto gli occhi, entrava luce, mi sono girata verso la finestra e ho visto questo…

13876370_279538719086477_327357501178813060_n

Quindi ho realizzato dove fossi.
Ho realizzato anche che non mi sarei più riaddormentata, ero a New York checazzo! La città che non dorme mai, non vedo perché avrei dovuto dormire proprio io allora.

Però erano le cinque di mattina, dove cavolo potevo andare a quell’ora?!

Ho temporeggiato, recuperando la password per il wi-fi mi sono ricollegata al mondo, classici messaggi di rito ai miei per avvisarli che ero ancora intera, alle sorelle per fare invidia e a tutta facebook che altrimenti si sarebbe chiesta che fine avessi fatto, aggiornato il diario, breve ripasso del programma (Si avevo un programma! Ma per lo più erano posti dove mangiare, perché io i viaggi li organizzo così.) e fuori finalmente.

Messo piede fuori dall’albergo mi sono resa conto subito, marciapiedi larghi, strade ancora più larghe, odore di cucina cinese già alle otto del mattino, gente con biberoni di caffè in mano e fumo dai tombini…esagero? Giuro di no. Era davvero New York. Ed è incredibile perché non c’ero mai stata, ma al tempo stesso l’avevo già vista milioni di volte e nonostante tutto naso all’insù e bocca aperta per tutti gli otto giorni.

Il programma della giornata comunque prevedeva colazione da Starbucks (si lo so, è vergognoso, ma era il primo giorno e mi mancavano i loro muffin delle dimensioni del Canada) , poi visita a Madame Liberty, passando per Wall Street. Potevo prendere la metro, ma nelle città preferisco perdermi camminando e poi era una splendida giornata… no ok sto mentendo. Avrei dovuto fare l’abbonamento e c’ho anche provato, ma giuro su Dio che la metro di NY è un casino assurdo. Volevo evitare il primo giorno di salirci e ritrovarmi nel Bronx.E quindi ho optato per una passeggiata.
La mappa diceva che non era poi così distante. Beh sapete una cosa?! La mappa mentiva. E poi io non so leggere le mappe.

Ho camminato, parecchio, ma lo rifarei subito (solo strade interne, mai le principali, perché secondo me la vera città è quella), fino Battery Park, punto più basso della città, dove prendere il traghetto per Ellis Island.
Era il 29 novembre e sono scesa dal traghetto con le stalattiti che mi scendevano dal naso.. freschetto!

Su consiglio di amici ho evitato di scendere alla fermata della Statua, anche perché Madame Liberty è come Madame Gioconda. La loro fama è inversamente proporzionale alla loro dimensione. Dunque ci sono solo passata davanti e mi sento di inoltrarvi il consiglio. Ma al museo dell’immigrazione andateci.  Male non fa’.

Tornata da là, ho fatto un giretto in zona e poi shopping. Si era solo il primo giorno e c’era molto da visitare, ma sono una donna, ero a NY ed era sabato, che cosa vi aspettavate? Musei?!

Non mi soffermerò a raccontarvi dei negozi, perché potrei passare dallo scrivere un articolo allo scrivere un libro, senza nemmeno accorgermene, MA.. mi limiterò a dire AAAAAAWWWW. (faccina con gli occhi a cuore).

Torniamo a New York, finito lo shopping, mi sono avviata… Dove? Da nessuna parte ad essere onesta. Proprio a caso. E sempre a caso sono arrivata in un parco, posto perfetto per mangiare il pretzel che mi ero appena comprata.

4$ di pretzel, infatti credo di avergli detto ‘MECOJONI’ al posto di ‘Grazie’ quando me l’ha consegnato.
Ammetto che quel pretzel però poteva sfamare almeno tutto il terzo mondo, tant’è che l’ho smezzato con gli scoiattoli.

Ero incantata da quel parco, che poi ho scoperto essere City Hall Park. Non era niente di particolare in realtà, sarà stata l’aria di neve o il fatto che fosse circondato da grattacieli altissimi o per gli scoiattoli che rendono sempre tutto un po’ più fiabesco, fatto sta che se dovessi mai fare da guida a qualcuno, sicuramente lo porterei la a smezzare un pretzel in quel parco.

Alla fine sono riuscita a prendere la metro per tornare in albergo. Nel tardo pomeriggio, perché essendo sabato sera volevo poi uscire di nuovo per fare un giretto la sera. Quindi sono tornata, doccia veloce, aggiornamenti via whatsapp e.. ho preso sonno. Che amarezza, lo so. Ma a mia discolpa vorrei dire che era il jet lag, non sono sempre cosi.

Comunque è stato un errore madornale, mi sono ‘svegliata’ dopo due ore dicendo ‘Oibò ma in che epoca mi trovo?!’, quindi mi sento di consigliarvi: se mai doveste sentirvi stanchi al pomeriggio, CAFFE’, CAFFE’, CAFFE’, NON DORMITE! Indescrivibile la fatica che ho fatto per alzarmi, vestirmi e uscire.

Metropolitana fino a Time Square, sconsigliata a chi soffre di attacchi epilettici tra l’altro. Se devo essere onesta, non mi ha colpito granché. Caratteristica, sicuramente da vedere una volta, ma non è come te l’aspetti.time square new york
Sapete invece cosa mi ricordo bene di quella sera? Gli hot dog.  Spaziali. Però uno non basta, vi avviso già.

30 novembre
Secondo giorno, la storia si ripete, sveglia biologica alle 5.30.

Ho preso tempo e pianificato il programma. E per ‘pianificato il programma’ intendo dire che ho scelto un posto dove fare colazione. Volevo i pancake punto e basta. Beh fidatevi di me se vi dico che ho trovato IL posto dove mangiarli.
Precisamente Perishing Square, esattamente di fronte a Grand Central Station (che va’ vista).perishing square new york pancakes

Le recensioni consigliavano di prenotare, ma essendo da sola, ho detto ‘provo’e ciao.. non avrei neanche saputo come prenotare al telefono, mica per altro.
Effettivamente c’era una fila infinita di persone, stavo quasi per mollare ma visto che ero da sola hanno trovato un posticino subito.

PANCAKE E ATMOSFERA NATALIZIA

Nonostante il via vai pazzesco di gente e camerieri, l’aria era molto rilassata, natalizia e domenicale. Famiglie, coppie, turisti… e io. Da sola, come una povera stronza.
Ammetto che mangiare da sola all’inizio mi creava un po’ di disagio, quindi scrivevo, consultavo le cartine o chiamavo il servizio clienti Vodafone per far finta di avere almeno qualcuno che mi cercasse.  Poi grazie a Dio mi sono abituata e ho iniziato a occupare il tempo godendomi il momento e osservando quello che mi circondava…
Detto ciò, dopo il pain au chocolat di Parigi, questa è la colazione più buona che io abbia mai fatto. Premettendo che fosse per me mangerei ogni 15 minuti, vi dico solo che quel giorno non ho più toccato cibo fino alle 18 di pomeriggio. Mai ingerito cosi tanti zuccheri in vita mia.
Piatto di 4 pancake, grandi circa quanto un 45 giri, noce di burro da metterci in cima e da far sciogliere con una colata di sciroppo caldo, succo e una tazza di una sbrodaglia acquosa che mescolata al latte aveva un lontanissimissimo retrogusto di caffè.
Madonna mi sta aumentando la salivazione solo a ricordare.
Comunque era il primo pasto serio che facevo in un ristorante, quindi dovevo pagare e lasciare la mancia.

Eh, cosa ci vuole, direte voi? Eh non lo so, ma non l’avevo mai fatto e quindi mi ero perfino scaricata l’app. che mi diceva in base al conto quanta mancia lasciare per non fare la figura della poveraccia. (…)
Ti lasciano il conto, ci metti la carta di credito dentro, scrivi a penna l’importo della mancia che vuoi lasciare e loro si arrangiano. Taaac!

Pago, esco e mi dirigo rotolando verso la biblioteca pubblica, praticamente a due passi.
Che figata la biblioteca pubblica! Quella dove doveva sposarsi Carrie. Quella dove i Ghostbuster hanno avuto il loro primo incarico. Quella dove io sono arrivata ed era chiusa perché era Domenica. Quante bestemmie!
Ecco cosa vuol dire cercare i posti dove mangiare ma non controllare le aperture dei posti da visitare. Brava Michi!
Va beh, era comunque una bella giornata e non faceva freddo, quindi passeggiata fino al palazzo dell’ONU. La visita è andata più o meno cosi: ‘Ah è questo il palazzo dell’ONU. Ok visto’. Spallucce e via.

Forse anche perché con la mente stavo già pensando di andare a Central Park e non riuscivo più a pensare ad altro. Quindi sono andata verso.
Sono stata dentro a vagare senza meta per circa 3 ore, e ancora ritengo che siano state poche.central park autunno

Senza meta’ perché coincidenza vuole che tra le varie statue sparpagliate per il parco, l’unica che volevo davvero vedere (Balto), l’abbia trovata proprio appena entrata. Quindi il resto del tempo me lo sono goduto senza ricerche.
Ora, io vorrei veramente provare a raccontarvi cos’è stato per me quel parco. Come si è presentato, con quello strascico di colori di un autunno non ancora finito, con quella New York fatta di sterili grattacieli che lo circonda quasi a proteggerlo.. vorrei davvero raccontarvelo. Ma fidatevi di me se vi dico che non riuscirei.
Vi ricordate il sorriso di cui vi parlavo nell’articolo precedente? Quello che ho quando mi ricordo di essere felice.. Ecco a Central Park ne ho sfoggiato uno tra i miei più belli. E glielo dedicherei altre mille volte. Pazzesco!

Quello che successe più tardi quel giorno, ve lo lascio per il prossimo episodio. Non mi abbandonate perché da lì è cominciato il bello.
…. (PARTE 3)