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Andalusia II (Granada, Estepona, Cadiz)

Dov’eravamo rimasti?

Ah si, il risveglio dai tetti di Cordoba. (QUI)
Mi sono stiracchiata assieme a Cordoba, ho raccattato i miei bagagli, salutato le coinquiline scambiandoci un poco credibile

«Scrivimi se passi per Padova, io ti scrivo se passo per la Virginia»

e via di nuovo.  

Due ore di autostrada nelle quali a farmi compagnia c’era il costante rumore della pioggia che non dava tregua (Costa del sole eh?!), ma anche le mie playlists e le mie multiple personalità, in pratica pareva di essere Alanis Morriset nel video di Ironic

Immagine di E non è ironico... non crediMi sono fermata poco prima di entrare in città per fare tappa colazione, non solo per la vitale necessità di assorbire caffeina, ma anche perché avevo l’altra vitale necessità di capire dove lasciare la macchina a Granada, prima che fosse tardi; seconda città più grande dell’Andalusia, e memore dall’ansia di Siviglia, non me la sentivo di lasciare che il mantra della giornata fosse: Memento Auder Semper… mi serviva una certezza per i prossimi due giorni.  

Granada meglio di Siviglia ma peggio di Cordoba per i parcheggi, quindi, come la peggiore turista del mondo sono andata diretta in un centro commerciale dove, per la modica cifra di 30€, ho potuto abbandonare in tranquillità l’auto.
Tempo di raggiungere l’ostello per lasciare la valigia e fuori subito.
Avevo una tabella di marcia pienissima, non avevo tempo da perdere.
La cosa che volevo visitare per prima, a parte chiaramente l’Alahmbra, attrazione principale della città in programma però per domani,
era vedere la fondazione di Josè Guerrero, che si trovava a men 3 minuti a piedi dall’ostello.  Fondazione Josè Guerrero Granada

L’ho visitata, mi sono ovviamente innamorata della vista (motivo per cui ero andata tra l’altro, perché di per sé di arte non ci capisco un cazzo), e sono uscita.  

 

 

Bene, il mio programma della giornata si concludeva lì

Non avevo nessuna voglia di seguire programmi, né di omologarmi ai turisti in fila, avevo bisogno di capire la città, di viverla un po’…volevo solo camminare, nel caso non lo avete capito già dalle prime due città visitate. E così ho fatto.

Pochissimi parcheggi, ma tantissimissima gente, per strada e nei locali.
La città non è grande quindi due giorni mi sono bastati e avanzati per visitarla tutta. E mi sono bastati anche per capire che Granada è una splendida città del Marocco.  Granada
E infatti a pranzo ho mangiato un kebab, perché è sembrata la cosa più tipica, per poi camminare senza sosta fino alle 21 per riuscire a digerirlo.  

Sono tornata in ostello solo la sera, dopo aver camminato senza sosta tutto il giorno per la città. Aver visto praticamente tutta la città ed essere passata per alcuni posti almeno un paio di volte.
E lì in ostello ho conosciuto le mie nuove coinquiline, una signora cilena sulla cinquantina con i capelli arancioni, che ascoltava a volume altissimo musica di dubbio gusto e che quando sono uscita dal bagno mi ha fatto leggere dal traduttore del suo telefono:

«Sei fortunata perché ho dimenticato il mio!»
Ero perplessa.
Il mio che?
IL CARICABATTERIE! 

Mi aveva fregato il carica batterie mentre ero in giro.
Ah beh dai, n’amo bene! 

L’altra coinquilina invece, ragazza di Tenerife, molto dolce e a modo, il cui sogno è venire un giorno a visitare l’Italia e le uniche due parole (quattro in realtà) che conosceva, se messe vicine formavano circa due combinazioni diverse di bestemmie.
Chiaramente imparate a Londra da nostri connazionali che tengono sempre alta la bandiera delle tradizioni.   Granada panorama

 

Granada , 18/09/2023 

17€ di colazione. Diciassette sì. Ma ne sono valsi la pena.
Ho fatto il carico di zuccheri perché la giornata lo richiedeva. Avrei smaltito camminando.
Non avendo un itinerario definito per la giornata (che tanto anche lo avessi avuto ormai avete capito che non sarebbe stato seguito), l’obiettivo sarebbe stato camminare senza meta per la città (strano!), cercando di scoprirla nell’unico modo che conosco, e che uso per far mie le città, perdermi.  Realejo Granada

Ho camminato tanto e in salita, perché non so se lo sapete ma Granada è la San Francisco dell’Andalusia.  

Avevo prenotato la visita all’Alahmbra nel tardo pomeriggio, per godermela con le luci del crepuscolo. Sempre splendide idee che però poi hanno sempre qualche falla. Come in questo caso, che non avevo considerato il fatto che al tramonto sì è splendido da visitsare il Generalife… ma non correndo per paura di rimanere chiusa dentro! 

Palazzo magnifico che vale da solo l’intero viaggio in Andalusia.
Consiglio di prenotare con largo anticipo la visita vista la quantità di turisti che ci sono ogni giorno. Dalle foto sembra non ci sia nessuno, ma vi risparmio la storia di quanto tempo ho dovuto aspettare per trovare il momento giusto!

Alhambra Alhambra Granada

 

Estepona, 19/09/2023 

Allora.. Io non so quanti di voi abbiano letto il mio racconto sullIslanda, ma comunque il quel viaggio mi ero ripromessa che mai nella vita mi sarebbe capitato di vivere l’emozione di restare senza benzina in mezzo al nulla cosmico.  E invece no. 

Sono partita da Granada serena, con una nuova energia, non vedevo l’ora di lasciare un po’ di quella cosmopolinità e farmi un po’ di vacanza, un po’ di mare (chi mi conosce starà storcendo il naso sapendo che io e il mare non siamo mai andati d’accordo, ma oh..è andata così, non so perchè!). 
Benzina ne avevo, sicuramente per i km che dovevo fare mi sarebbe bastata diciamo. Per i km ordinari si, ma per i 45minuti di coda non prevista no.
Non so se nella vita abbiate mai provato quella sensazione di terrore di chi si accorge che l’autonomia segnata sul display non si avvicina minimamente a quella necessaria per arrivare, non dico a destinazione, ma almeno al benzinaio più vicino.. Ecco io non ero vicina né a destinazione, né al benzinaio più vicino, non ero vicina manco all’uscita dell’autostrada. 
E anche lì come in Islanda ho avuto modo di ripensare a tutta la mia vita. A quanto siamo abituati a dare per scontato le cose, a quanto ti accorgi che ti manchi qualcosa solo quando la perdi, va beh cose così insomma.Estepona
Chiaramente poi sono arrivata al primo benzinaio aperto, perché l’autonomia che ti segna la macchina non è mai quella reale, è giustamente tarata in maniera inversamente proporzionale sulla stupidità delle persone.

E intanto però…si iniziava a sentire aria di mare.
Estepona era esattamente quello che mi serviva. Sono felice di averla scelta!  

Avevo necessità di un paese piccolo, sul mare, dove mangiare pesce, vedere pochi turisti, conoscere la vera Spagna.  

E’ un piccolo paesino sul mare. Il centro è un classico borgo spagnolo, fatto di strette viuzze rivestite di fiori colorati su pareti bianchissimissime.  

Credo di averlo visitato tutto in circa 25 minuti, aspettando che la mia stanza fosse pronta.  

Sentivo il bisogno fisico di mare, e non so perché considerando che io e il mare (da quando nel 2017 ho iniziato a soffrire di melasma) non andiamo più molto d’accordo. Probabilmente perché ero distante da casa, senza nessuno di conosciuto dal quale dovermi nascondere, senza orari, senza vergogna… potevo respirare.

Forse memore del viaggio nel 2017 in Portogallo, dove ci fermammo due giorni di più a Lagos rispetto a quelli preventivati dal programma, perché innamorati di quella piccola città sul mare.  

Ma questo non è il 2017, questo non è il Portogallo e io non sono più quella persona.  

Alle 14.30 ero in spiaggia, già distesa sul mio asciugamano.

Studio Aperto perdoname por mi vida loca 

Ero lì, senza orari, ne programmi.. Non avevo motivo di tornare in ostello. Dovevo resistere. Dovevo riuscire a rilassarmi. Ci riescono tutti al mare, una volta ci riuscivo anche io, non vedo perché non riprovare.  

Non si può scappare per sempre dai propri pensieri.

Prima o poi te devi fermà! 

Ti devi annoiare.

Devi stare.  

Elabora. Ascolta. 

 

Così ho provato. Per ben 4 ore sono rimasta nel qui e ora. 
L’unico desiderio che avevo per la giornata era godermi una cena di pesce fresco in un posto di mare come quello. Quello era l’unico programma che avevo per Estepona
Alle 18 ho ripreso conoscenza in spiaggia, ma solo perché la marea si era alzata fino a toccarmi i piedi. Stavo bene!
Mi sono presa il tempo di capire in che anno fossimo e anche di godermi un po’ di quella Golden hour… dopo una vita che la evitavo pensando al male che mi avrebbe causato tra macchie e ricordi d’infanzia.  

Il resto della serata è scivolata come da programma, anzi forse è il caso di dire meglio, soprattutto quando finita la doccia ho sentito nell’aria la voce di Chet Faker. 

 Chiaramente non la potevo ignorare, così l’ho seguita… arrivava dalla terrazza del bar sul tetto dell’ostello (forse uno degli ostelli più fighi mai visti). 

Beh..wow! 

La terrazza era pazzesca, il tramonto da lì era pazzesco, Chet faker è pazzesco ma questo spero tu lo sapessi già.  (guarda QUA) 

Quindi niente, mi sono presa una sangria, mi sono seduta a gambe incrociate in uno dei divanetti e ho provato a godermi quel tutto.  

Ad un certo punto si è seduta accanto a me una ragazza tedesca e abbiamo chiacchierato un sacco. Si è unito poco dopo anche il suo ragazzo… e dopo di lui anche un altro paio di persone.  

Uno di quei momenti in cui non ho mai guardato l’ora per vedere quanto mancasse. Mancasse a cosa poi? Alla cena? All’ora successiva? A domani? Alla prossima tappa? 

Ma quanto è difficile viversi sto «qui e ora»? 

Quanto è difficile dare dignità al momento presente, al giorno che stai vivendo, in qualsiasi circostanza tu ti possa trovare, qualsiasi emozione tu possa provare, senza pensare sempre al momento successivo… è così difficile a volte, soprattutto quando hai la consapevolezza che nella vita non ti manca nulla.  

E allora cos’è tutto sto strascico di mal d’Essere che ci tiene perennemente al guinzaglio? 

Dopo aver salutato tutte quelle nuove persone, sapendo che probabilmente nella vita difficilmente le nostre strade si sarebbero rincrociate ancora, mi sono avviata verso la famosa cena di pesce che avevo in programma.  

Prima però mi sono fermata a guardare il sole un attimo prima che tramontasse sul mare (la blue hour come la chiamano i fotografi). Spettacolo fantastico, e nonostante questo sentivo ancora qualcosa tirarmi indietro.
Ho visto tramonti sull’Oceano, tramonti in mezzo ai ghiacciai in Islanda, nel Gran Canyon, un tramonto assurdo visto per caso dopo essermi persa nelle Dixie Mountains… E allora, cos’è che mi aspetto di sentire? Cos’è che mi aspetto e basta? 

C’era qualcosa, ma non riuscivo a metterlo a fuoco. Continuavo a fare foto, cercando la foto perfetta, ma il sole continuava a scendere e il cielo a cambiare colore ogni secondo, quindi quale sarebbe stata la foto perfetta? Probabilmente quella non fatta. Quella fatta semplicemente guardando.  tramonto Cadiz

Perché volevo la foto perfetta? Perché continuavo a mandarle ad amici e parenti o a pubblicarle su instagram?  

Poi però ho realizzato. Forse per la prima volta in vita mia l’ho ammesso.  

Mi sono fermata, fermata davvero, e tutto scorreva al rallentatore… Ho sentito la gioia per aver preso il coraggio di ascoltarmi e il terrore per la risposta che mi stavo dando. 
Mi sentivo sola. 
Sentivo di non dover più fingere di essere una wonder woman indipendente che viaggia sola e fa cose fighe da sola, senza bisogno di nessuno. 
Ero sola. E non mi piaceva.
Non ero obbligata a fingere di essermi divertita un sacco in quel viaggio, di aver visto cose pazzesche, di essere felice, grata e invidiata. 

Mi sentivo sola, e triste senza un apparente motivo. Ma non me ne vergognavo.  

Non me ne vergogno nemmeno ora che lo sto rivivendo scrivendolo. Lo so che queste cose non andrebbero dette, tantomeno sui social perché non fa figo, i social sono nati solo per far vedere il bello, le parti vulnerabili, le difficoltà, le parti difettate non le vuole vedere nessuno, non sono glitter. Beh non mi interessa, e questo è quanto!
Non è una colpa, non è un difetto, a volte capita e basta! 

Sono Millenials anche io, sono figlia della generazione del ‘La felicità è reale solo se pubblicata’ 

Invidio quei pochi sopravvissuti che ancora ti rispondono «Ah no io non ho i social» perché sì, a volte non sono informati su cose fondamentali tipo la storia del vestito nero/oro che girava anni fa, ma hanno scampato dei disagi non indifferenti in compenso.  

Hanno schivato l’evoluzione di quella sensazione di essere invisibili al mondo se non pubblichi dove sei, cosa stai mangiando, ascoltando, leggendo. Non c’è invidia, non c’è giudizio, non c’è bisogno di dimostrare.  

«Riusciresti a fare un mese senza pubblicare niente o senza entrare sui social?» 

Me lo sono chiesta spesso ultimamente, almeno inconsciamente, infatti quel malessere era in sottofondo… era camuffato da ansia, da panico, perché il cervello (come fa sempre) elabora tutto, che tu te ne accorga o meno. 
E questi sono i risultati. 
Niente arriva per caso, e di sicuro il mio cervello non è programmato per lasciar passare facilmente.   

E a proposito di lasciare passare…  

Nel tornare all’ostello dopo la cena, sono passata a controllare l’auto nonostante non fosse necessario stavolta, e niente… nessuna multa, in compenso però tutto il parafango davanti era completamente sfregiato.  

Danno davvero impossibile da non notare. E altrettanto difficile da non notare mentre lo fai… Credo me ne sarei accorta se con la macchina avessi pomiciato con un albero strusciandomici addosso. Non ero stata io, sicuro.
Panico. 
La partenza l’ultimo giorno sarebbe stata alle 9 del mattino e l’apertura dell’autonoleggio alle 7. Due ore per capire come procedere con l’assicurazione, sporconare per la franchigia e arrivare in tempo in aeroporto. 
Va beh, avevo ancora un giorno davanti da usare al meglio, tipo rimuginandoci sopra.  

CADIZ, 20/09/2023 

 Giornata da incubo oggi!
E io che credevo di aver vissuto il peggio nel viaggio di ritorno dall’Islanda.  

Sono arrivata in spiaggia intorno alle 12, contando di rimanerci per almeno un paio d’ore, tanto per riempire la giornata, soprattutto considerando che l’ostello che avevo preso solo per passare la notte (memore della nottata in macchina passata a –5 a Reijikiavik) era a circa due ore di strada, e come ho detto dovevo solo passarci la notte e svegliarmi alle 5 per riuscire a lasciare l’auto, risolvere il problema pomiciata con albero e prendere in tempo l’aereo di ritorno.  

Invece il paio d’ore in spiaggia che avevo previsto sono diventate senza accorgermene quattro, il ‘leggero colorito d’orato’ che prendo di solito dopo qualche ora di sole è diventato un’ustione, una brutta ustione… mai ignorare i consigli di Studio Aperto! 

cadiz costa del sol

In tutto ciò non avevo bevuto un goccio d’acqua per tutto il giorno ed ero a digiuno.  

Prima di subito ho levato le tende e sono partita, ma non prima di aver fatto tappa al supermercato più vicino per far scorta di acqua, cibo e una crema doposole per gente che non sa stare al mondo!

La giornata era partita con un cielo turchese e un sole splendido, ma ad un certo punto, quando mancavano una manciata di minuti all’arrivo in ostello il cielo ha cominciato a coprirsi e ad alzarsi un vento fortissimo.  

L’ostello era a 25 minuti dal centro di Siviglia e a 20 dall’aeroporto (tatticamente trovato per evitare il problema parcheggio a Siviglia e per partire agilmente all’alba in direzione aeroporto), in mezzo alla campagna.  

Il paese in cui si trovava l’ostello aveva circa 5 case, ma non so se fosse la suggestione di quel cielo nero, il vento o i covoni di fieno che mi passavano davanti, a me sembrava disabitato…
Arrivata di fronte al cancello dell’ostello ho capito che non era esattamente un ostello, ma piuttosto una via di mezzo tra un campo rom e una comune.  Inizialmente in cuor mio speravo di essere nel posto sbagliato e che qualcuno me lo avrebbe detto. Invece era il posto giusto.
Ad accogliermi nella corte dell’ostello (ex casa di campagna) oltre ad un odore acre fortissimo mai sentito in vita mia che assomigliava ad un mix tra salamoia e olive marce, c’era una variegata fauna locale, di soli uomini, di età compresa tra i 45 e i 60 anni, intenti a fumare tabacco e a mangiare scatolette di tonno… Oltre chiaramente a squadrarmi. 

Beh bene dai.  

“Devo solo dormirci!” 

A tal proposito, il letto assegnatomi era quello sopra in un letto a castello, in una stanza mista (che di mista aveva poco visto che l’unica donna ero io) da 8 letti in 15mq.  
Vedendomi leggermente spaesata, uno di questi giovani gentiluomini si è fatto avanti. Un italiano espatriato lì in Spagna anni fa e solito passare un paio di mesi l’anno in quest’ostello per rilassarsi (“o magari hai ucciso qualcuno e ti stai nascondendo eh?”)
Dopo un paio di convenevoli, questo gentile personaggio di nome Luca dice qualcosa in spagnolo rivolgendosi alla responsabile dell’ostello (anche lei dipendente dal traduttore di google per interfacciarsi con i non local). 

«Le ho chiesto se avesse una trapunta in più da portarti perché stanotte farà molto caldo ma, vedi lassù? (indicandomi un condizionatore posizionato esattamente a 20cm sopra il mio cuscino) lo accenderanno e tu avrai molto molto freddo» 

Ah. Che gentile.  

Era stato davvero carino, io però continuavo a pensare che quella coperta l’avrebbero usata per arrotolare il mio cadavere più facilmente.
«Grazie mille, sei stato davvero gentile. Posso chiederti una cortesia invece? Ho visto che c’è un altro letto vuoto in stanza, vedo che è da fare ma posso arrangiarmi a farmelo.. Ma essendo in basso lo preferirei, sai domani ho la sveglia molto molto presto e vorrei fare meno casino possibile per non disturbare voi che dormirete.» 

«Guarda tesoro chiedo, io però  ti do un consiglio, se ti dice di sì io fossi in te farei prima a spostare proprio tutto il materasso sai… E non mi far dire altro su quel letto va là (risatina scuotendo la testa)»  

Oddio, in che senso?
Cos’è successo in quel letto?
E’ morto qualcuno?
Devo vaccinarmi?

Va bene come non detto, mi tengo il mio letto alto a soppalco e con l’aria sparata a palla in faccia, mi sentirò per una volta come Beyoncè.  

“Devo solo dormire e alle h.5 scappo”

Si, dovrò anche solo dormirci, ma sono le 18 del pomeriggio!
Il mio cervello, maestro della nobile arte dell’overthinking è partito con le peggiori intenzioni. 
‘Con il condizionatore sparato a 20cm morirai di freddo, sempre che tu non muoia nel frattempo in altri modi. Loro andranno a letto tardissimo e tu non riuscirai a chiudere occhio, sarà una di quelle notti che sembrano non passare mai… Vuoi vedere che alla fine la notte da incubo in Islanda non è stata poi così male in fondo…’ e via così.  

In ogni caso, in mezzo a tutti quegli scenari, una cosa era certa.. Avevo alle spalle una giornata di mare e insolazione, necessitavo di una doccia. 
Il bagno tutto sommato era un bagno normale, ne avevo visti di molto peggiori, e nessuno mi aveva fatto allusioni su eventi accaduti lì dentro, quindi, se non consideriamo il mio cervello che non mi ha dato tregua nemmeno lì, direi che la doccia è stata ok. Il colore della mia pelle un po’ meno, alternavo la sudorazione ai brividi.  

Nel frattempo i vestiti e tutte le cose che avevo parcheggiato nella stanza vicino al mio letto si erano impregnati di quell’odore acre, e le mie narici con loro. Era insopportabile. 
Ok la doccia era fatta. E adesso? 

“Devi solo dormirci”

Si ho capito ma sono le 18.30, c’è ancora luce, non posso andare a letto adesso.’ 

 E quindi nulla, ho fatto l’unica cosa che potevo fare per cercare di occupare quelle ore e per fermare quell’ondata di catastrofismo e ansia che il mio cervello continuava a diffondere, ho guardato un paio di puntate. 
N
on hanno funzionato.
Non riuscivo a concentrarmi. Non mi sentivo a mio agio, per niente. Non ero tranquilla, so che potrebbe sembrare assurdo ed esagerato, so anche che il nostro cervello è in grado di distorcere la realtà molto bene e farci provare quello che vuole.. Ma davvero c’era qualcosa di inquietate in quell’aria, e non era solo quell’odore terribile.
Qualcosa dentro di me continuava a ripetermi ‘Non riuscirai a dormire, non è un bel posto quello, vai via finché c’è ancora luce.
Ma via dove? Continuavo a cercare su booking posti vicini dove poter scappare, ma costava tutto una follia, davvero una follia per una notte. Per un po’ ho alternato la puntata a quella ricerca spasmodica.  

Fino a che ho preso una decisione. Basta!  

O vai o rimani e ti metti buonina.’ 

Vado!
Sono riuscita a trovare l’unica stanza disponibile a 15minuti da lì, ad una cifra tutto sommato onesta, in un airbnb. 
Ho cliccato ‘prenota’ senza nemmeno un secondo di indugio, e appena l’ho fatto il mio corpo ha buttato fuori una tale quantità di respiro da far decollare una mongolfiera.  Ho raccattato tutta la mia puzzolente roba rimettendola a caso tra la borsa e la valigia, e come la peggior ladra del mondo ho lanciato tutto in macchina e sono ripartita.
Appena la macchina è ripartita mi sono sentita contemporaneamente sollevata e la peggior persona del mondo.
Non avevo nemmeno controllato dove dovessi andare. Nel prendere il telefono per controllare prenotazione e l’indirizzo, mi sono resa però di non aver controllato le mail.. soprattutto quella che diceva ‘Siamo in attesa che l’host confermi la prenotazione’.

CAZZO! 

Mi sono fermata, ho cercato di mandare un messaggio al proprietario della casa per avvisarlo che sarei arrivata nell’arco di un quarto d’ora, senza nemmeno considerare il fatto che negli orari scritti sul sito avevo ancora 8 minuti per fare il check in…sempre che mi confermasse la prenotazione!
Va beh non avevo alternative quindi ho impostato l’indirizzo e mi sono avviata. 
L’appartamento era in un palazzo immenso, all’interno di un complesso residenziale che racchiudeva al centro dei palazzi un parco, una piscina, un campo da basket, uno da padel e probabilmente altro che la luce dell’imbrunire non mi ha fatto vedere.  

Ho suonato, nessuna risposta.  

MERDA! 

Risuono. Finalmente si apre il portoncino. Alla porta d’ingresso ad accogliermi un signore gentile, palesemente stupito di vedermi, al punto da infilarsi una maglietta della salute aprendo la porta. Ho cercato in tutte le lingue che conoscevo di scusarmi per l’irruzione a quell’ora e senza preavviso. Lui non parlava una parola di inglese, ma in un mix di spagnolo/italiano ci siamo capiti. 
Assieme a lui la moglie, mi hanno subito mostrato la mia camera, portandomi degli asciugamani freschi di ammorbidente, e chiedendomi almeno tre volte se avessi fame e volessi che mi cucinasse qualcosa. Mi sembrava di essere a casa di mamma, nonostante loro assomigliassero in maniera incredibile ad Olindo e Rosa.  

No, basta ansie!  

La stanza era bellissima, nuova, tutta per me, fosse anche solo per il letto enorme e comodissimo. 
Ho mandato un paio di messaggi a mia madre per aggiornarla sulla nuova sistemazione, la risposta è stata «Si ok, ma non fidarti di persone mai viste che non conosci, chiuditi in camera. A domani, notte»
Graziearcazzo. Adesso capite la natura dei disagi?
 

Nonostante fossi decisamente più rilassata, la nottata non lo è stata altrettanto, ho dormito poco e quel poco che ho dormito l’ho usato per sognare di perdere l’aereo a causa del problema con l’assicurazione dell’auto a noleggio, o di rimanere chiusa nel parco del complesso residenziale per non aver premuto il pulsante che apriva il cancello (il mio cervello è sempre il mio fan numero uno!). In più continuavo a sentirmi addosso quell’odore nauseante, mi aveva davvero impregnato tutta la valigia e i sentimenti.
Alle 5 mi sono alzata, ma ero già sveglia da un pezzo, ho scritto un biglietto (in spagnolo) ai due gentili proprietari e sono uscita. 

Il primo scoglio era uscire senza fare casino. Fatto. 
Nel chiudermi la porta alle spalle mi sono accorta di un dettaglio sul campanello; il proprietario di casa che mi aveva accolto e salvato (da cosa non è dato sapere) si chiamava Jesus. Vuoi vedere che la chiacchierata in cattedrale era stata ascoltata?!  

Il secondo scoglio era riuscire ad uscire da quel ricco labirinto residenziale. Fatto.
Il terzo era affrontare la rogna con l’autonoleggio senza perdere l’aereo.  

Dieci minuti prima che aprissero ero già là pronta. Avevo già due persone davanti a me, ma ho aspettato pazientemente il mio turno, controllando però l’orologio ogni 30 secondi, come se questo cambiasse le cose.
Arriva il mio turno, cerco di spiegare alla ragazza il problema del danno, specificandole che non ero stata io, come se questo cambiasse le cose. 
L’accompagno fuori a vederlo, continuando sempre a guardare l’orologio.  

Ho ancora margine’  

Lei scruta la macchina, digita qualcosa sul terminale, poi mi guarda. 
Ecco, adesso mi darà una cifra fuori da ogni grazia divina e io non potrò opporre resistenza.’ 

«Guarda, io ti ringrazio per l’onesta e sono certa non l’abbia fatto tu, perché c’era già» dice mostrandomi le foto del prima.   

Ho rilasciato un’altra quantità di respiro non indifferente.  

 O mio dio grazie 
Posso tornare a casa ora? 

Sì.  E così è stato.  

Tutto quello che non ho scritto è QUI

Berlino viaggio weekend europa

Berlino in 3 giorni. Io, Berlino e l’Ansia

Io, Berlino e l’Ansia

Aeroporto Treviso 22/03/2019

Si bello arrivare in aeroporto in anticipo, bellissimo!

Bello il guardarsi in giro, osservare le persone, tutto quel  via vai, quelle storie che s’incrociano per poi magari non rincontrarsi mai più… si bello veramente, ma cazzo, quando soffri di ansia, quell’arrivare prima per godersi il momento, diventa un a «Ma che cazzo, mancano ancora tre ore prima che aprano il gate?!’»

«Eh lo so, hai ragione scusa, ho calcolato male il tempo per gli imprevisti

Una cosa che invece ho imparato viaggiando, anche se tardi, è: non mettermi ad annusare tutti i profumi del Duty Free! Per non partire con una nausea incredibile..

E quindi niente.. non ti resta che star lì ed aspettare, stai lì ed osservi. Osservi e pensi. Pensi e ti fai salire l’ansia e l’ansia fa salire altra ans…«Oh aprono il gate Dio grazie!’»

Ah no scusate, sono due le cose che ho imparato dagli aeroporti. La prima è appunto non mettermi a sniffare tutti i profumi al duty free e la seconda è che non importa quante lingue parli, quello che diranno agli altoparlanti non lo capirai. MAI.

«Ma WOW, perché stiamo passando davanti a tutti?’»

«Perché abbiamo il biglietto Priority»

«Wow, e da quando siamo diventati ricchi

«Non lo siamo appunto. Il priority è per i poveri come noi che viaggiano leggeri con solo il bagaglio a mano»

Ah. Comunque viaggiamo con Ryanair, quindi anche quelli non sono i ‘ricchi’ sono semplicemente più furbi di noi, nel bagaglio in stiva hanno i vestiti e in quello a mano hanno le ginocchia visto che nei sedili non ci stanno’

Un’ora e mezza di «Ahahah ma sono pazzi, chi compra da mangiare delle finte lasagne per € 15?» e atterriamo a Berlino.

Finalmente. O forse no.

Cavolo ho delle aspettative altissime per questa città. Tutti a dirmi che conoscendomi è proprio la città per me.  Mi aspetto graffitti ovunque, birra a fiumi, mentalità aperte e profumo di storia nell’aria. E sappiamo tutti come finisce quando ci sia aspetta troppo… berlino mai una gioia treno

Berlino giorno 1

Mezz’ora di treno e si arriva in centro. Prima impressione ‘Ah cacchio, ecco dove tengono il Grigio!!’.

Si, molto molto grigio. Ma oh, è solo la prima impressione e poi dai appena arrivati in una città nuova il cuore è talmente impaziente che tutto prende comunque una piega propositiva.. ‘Grigio? Io adoro il grigio, potrei addirittura cambiare il nome della pagina; Mainagioia is the new Grigio

Giù le valigie e fuori subito immediatamente.

Purtroppo viaggiando il pomeriggio, la luce ha resistito giusto il tempo di darci il benvenuto per poi lasciarci con un ‘See u tomorrow’ o anzi ‘ Bis Morgen’.

Noto subito con piacere che anche i tedeschi come gli svedesi non badano a spese per le consonanti nelle parole.. ma vocali gran poche. Qui più che il ‘Come cavolo si dice?’ vige il ‘Come cavolo si legge’?

Oh ma tu guarda, sono le 18.30. ‘Birretta?’

Ovvio che si, l’aperitivo è aperitivo ovunque. Soprattutto Venerdì sera.  Abbiamo trovato un bar/pub tipico, sì mò aspettate che guardo come si scrive: Zwiebelfisch Gaststatten (….!!!). Entriamo e tutti i tavoli sono occupati, la tipa al bancone ci guarda e ci indica un punto. Entrambi cerchiamo di capire dove stia indicando, ma davvero non capiamo, «Non ci sono tavoli liberi, cosa ci sta indicando questa?’ ‘Ci sarà un’altra sala».

Mi sono sentita come il famoso stolto che guardava il dito anzichè la luna.

Comunque no, nessuna sala. Ci stava indicando di sederci in un tavolo da quattro, ma dove erano già seduti due coniugi. Ovviamente da tipici italiani eravamo  un po’ perplessi dalla cosa, ma poi.. si dai ci stava!

Ci stava al tal punto che ad una certa abbiamo intrapreso una conversazione con la coppia in questione, su quanto noi italiani gesticolassimo parlando e che tornando alla questione di prima invece, per loro sia una cosa più che normale condividere il tavolo, con sconosciuti mentre per noi italiani è subito disagio.

Ecco, Italia 0 Germania 1.

Nel frattempo però FAME. Fame. Ma soprattutto voglia di qualcosa di tipico.

E così è stato.cosa mangiare a berlino

Altra cosa imparata dai viaggi,(Madò ma quante cose ti insegnano i viaggi?! Insegnassero anche come fare i big money però sarei più felice) è più tempo passi a cercare il posto ‘giusto’per mangiare, per strada o su Google, più si abbassano le possibilità di trovarlo. Quindi, detto fatto. Gastatte Zur Kneipe.

Miglior scelta non si poteva fare. Wurstel, crauti e patate al cartoccio.  S P A Z I A L E!

E prezzo misero. Meno di € 20 a testa.

AH, ‘Tips are not included!’

Eh.. e quindi?  Eh quindi sganciate la mancia! Pena, sguardi di disapprovazione e disgusto stile Cercei Lannister.

IO, BERLINO E L’ANSIA

BERLINO DAY 2

Sole. Ottimo. Sicuramente con il sole i colori oggi saranno molto più belli.

E sì. Tante sfumature nuove di grigio che appena arrivata non avevo colto.

«Allora oggi che si fa

«Eh, non so non avevi fatto un programma?»

«Veramente no, mi pareva avessimo deciso di non programmare, ma di improvvisare.»

«Allora improvvisiamo

Berlino un po’ come New York, ha dei parchi enormi e bellissimi nei quali si possono fare lunghe camminate e jogg..e altre lunghe camminate. Quindi abbiamo attraversato uno di quei parchi, Tiergarten, per l’esattezza. Parco che tra le altre cose ospita il famoso ‘Zoo di Berlino’. Non amo particolarmente(..) gli zoo, quindi è stato totalmente ignorato, semplicemente costeggiato durante la passeggiata nel parco.

Passeggiata che dopo due ore iniziava ad essere un po’ troooppo lunga. Quindi autobus, almeno per arrivare in prossimità di qualche ‘attrazione’ da visitare. Ovviamente abbiamo fatto la card per accesso illimitato ai mezzi (metro, bus, tram, shuttle, canoe, nuvole speedy..) per tutti e 3 i giorni. Scelta azzeccatissima considerando che praticamente i tedeschi hanno un’unità di misura della lunghezza tutta loro; una loro via praticamente corrisponde ad una nostra regione..

Porta di Brandeburgo. Quasi quanto la Statua della Libertà. Bella ma.. ‘Beh tutto qua?’

berlino olocausto memorialeSi diciamo che forse me l’aspettavo più grande. O forse no, non so nemmeno io cosa mi aspettavo però effettivamente non mi ha entusiasmato granchè. Vero anche che pochi metri più in là c’è il memoriale alle vittime degli Ebrei. E quello che tu lo voglia o no, ti lascia qualcosa.

Ti crea una buona dose di inquietudine, consapevolezza e impotenza.

E’ gratis e quindi tutti posso accedervi. Nonostante non tutti ‘debbano accedervi’.

 

IO, BERLINO E L’ANSIA

Dopodichè l’unica cosa che puoi fare è continuare a camminare per Berlino, aspettare che tutta quella scia lasciata da quel monumento, piano piano svanisca lasciandoti un buco allo stomaco.

Però la scia non svanisce. In compenso però il buco allo stomaco ti viene comunque, soprattutto se cammini per 5 ore.

Ci avevano consigliato di provare ad andare a mangiare il miglior Kebab della città da Mustafa’s, quindi ci siamo diretti lì.

Si, il kebab è tipico tedesco se ve lo state chiedendo. Non guardavate mica ‘Kebab for breakfastscusate?

Markthalle Neun berlino weekend

Beh siamo arrivati da MustafAHAHAHAHAH.. «Scusa quella è la coda? Ma stiamo scherzando! Manco sulla Salerno-Reggio Calabria è così…’»

Forse per quello si chiamava così il telefilm, perché ti metti in coda la sera e il kebab te lo magni la mattina praticamente.

Vabbè piano B.mercato coperto berlino

Mercato coperto, più nello specifico il mercato di Marejnazrtomejw oh scusate mi è passato il gatto sulla tastiera, volevo dire il Markethall Neun.

 

Ecco beh non so voi, ma una delle prime cose che cerco quando voglio visitare una città è proprio il mercato. Li trovi la vera città. Le persone, i gusti, i profumi e i rumori. E tutto sotto lo stesso tetto….

 

Basta per oggi. Il bello comincia domani. Birrette, Vinili e LSD.

Tour del Marocco da Fes a Chefchaouen

Marocco: fes, Chefchouen, Moulay Idriss, Meknes,

Volubilis e Bhalil 

Chefchouen, 01 Ottobre 2018
Avete presente quando siete in vacanza, dormite senza l’ansia di dovervi svegliare presto e anzi vi svegliate addirittura senza la sveglia, perché talmente impazienti di vedere posti nuovi, volti nuovi, di provare gusti nuovi.. ecco per me in Marocco è stato così. Ma con più bestemmie. La sveglia, soprattutto a Chefchouen, non mi è proprio servita, anzi l’unico uso che ne avrei fatto volentieri, sarebbe potuto essere lanciarla addosso all’altoparlante che alle 5.23 di mattina si è messo a trasmettere il richiamo alla preghiera, proprio fuori dalla nostra finestra.

chefchouen  viaggio marocco

Lo so, lo so, sono blasfema, Allah perdonami, ma oh non è che puoi sveglià uno alle 5.20 del mattino per pregà. Uno c’avrà pure da lavorà durante il giorno, da fa’ cose, non è che puo’ vivere di solo caffè. Con rispetto parlando eh.
Diciamo che comunque per farsi perdonare dalle sveglie poco piacevoli, compensano sempre con le colazioni. Tutte rigorosamente fatte sulle terrazze, sempre con baghrir( simile al pancake ma più umido e spugnoso, che detto così non invoglia granchè, invece vi assicuro che potreste mangiarne a tonnellate, soprattutto perché dovrete provarli prima con il burro e la marmellata, poi con il burro e basta, poi con l’altra marmellata, poi oddio basta sto male.. vomiterò durante il viaggio!), poi il loro buonissimissimo the alla menta, il loro pane, da mangiare con il burro(nel caso ancora non steste male dopo i baghrir) , poi caffè, yogurt, olive (Olive?! Si olive!! Ci sono, non vorrete lasciarle là no?).
Si insomma, dopo aver fatto scorta di cibo, manco fossimo nel primo dopoguerra, abbiamo raggiunto la macchina. Direzione Meknes, ma con alcune tappe intermezze.

Meknes marocco tour
La prima Moulay Idriss, definita anche Città Santa o la Mecca dei poveri soprannominata da me. Madò andrò all’inferno dopo sto articolo, me lo sento.
Avevamo la guida, un ragazzone locale, vestito con il tradizionale Kamis ( il camicione lungo classico), e sì l’ho ascoltato volentieri. Ti trasmetteva marocchinità e mi piaceva come ci mostrava la vera quotidianità. Come quando ci ha portati a vedere un Hammam, una sauna, di quelle vere. Non era in programma nella visita, semplicemente ci siamo passati davanti e ci siamo incuriositi, allora abbiamo chiesto alle signore sedute sugli scalini che portavano sottoterra, se potevamo andare a vedere e siamo scesi. O come quando siamo passati davanti al ‘forno’, il panificio, (ogni quartiere ha il suo) e il fornaio aveva appena sfornato il pane, lo stava caricando sul carretto, per poi andare in giro per la città a venderlo. Il ‘ragazzone’ ne ha preso uno, ne ha spezzato un pezzo per lui, dopodiché ha iniziato a passarcelo, spiegandoci che avremmo dovuto spezzarlo con le mani, mai con il coltello.. e condividerlo. Avevamo appena finito di pranzare, quindi mangiare un pezzo di pane non è che fosse proprio il digestivo ideale, ma era offerto e soprattutto era ancora caldo di forno. Buonissimo.

pane marocco viaggio

Ma comunque stavo dicendo, l’ho ascoltato, perché era davvero interessante.. generalmente ho una soglia bassissima di attenzione verso le notizie di cultura generale (CAPRA! CAPRA! CAPRA!), invece ho ascoltato volentieri.
E mo’ spiego anche a voi, come quando ripetevo a voce alta prima di un’interrogazione, con gioia di mia madre. E’ chiamata Città Santa, perché si trova qui la tomba di Moulay Idriss per l’appunto (ritenuto discendente diretto di Maometto), dunque meta di molti pellegrinaggi. Ecco beh se non lo sapeste ogni mussulmano, che voglia definirsi veramente tale, ha l’obbligo almeno una volta nella vita di fare un pellegrinaggio alla Mecca. Il problema è che un pellegrinaggio alla Mecca, dal Marocco, costa circa 7000€. Considerando che lo stipendio medio di una persona in Marocco è di circa 2000 dirham al mese (circa € 200), capite bene che non è proprio fattibile per tutti.
E quindi c’è questa sorta di escamotage, che permette di fare questo pellegrinaggio a Moulay Idriss, comunque città Santa, e risparmiarsi 7000€ .
Vi ho già persi vero!? Vi siete fermati a ‘interrogazione’? Ho finito con la cultura tranquilli.
Della città in sé non c’è qualcosa in particolare da visitare, io semplicemente ho apprezzato il giro a zonzo per la città, una città vera, non propriamente turistica e anche la vista dall’alto. Meritavano davvero.
Finito qui, via di nuovo in macchina, ma solo venti minuti.

Fino a Volubilis, sito archeologico del primo insediamento romano in Marocco.

Tour del Marocco: fes, Chefchouen, Moulay Idriss, Meknes, Volubilis e Bhalil

Volubilis marocco viaggio

Vi ho persi di nuovo vero? Lo sapevo che la parola ‘sito archeologico’ avrebbe impaurito tutti. Aveva impaurito anche me quando ho saputo che era in programma.
Invece, bello bello si, ma la cosa eccezionale di quel posto è stata la guida. UN MITO. volubilis marocco
Anziano, con lo sguardo saggio e che trasudava cultura sotto quel Kamis azzurro (divisa d’ordinanza per le guide del sito), ma soprattutto con una classe incredibile. Ci ha accompagnato per tutto il sito archelogico, spiegandoci il perché di una colonna piuttosto che di un’altra, o di un mosaico anziché un altro. Fino a che non siamo arrivati nel punto, sul quale ‘sorgevano’ i resti di quelle che una volta erano le terme, si distende, si mette comodo imitando quello che avrebbero fatto anche i romani al tempo ed esordisce con ‘ Ecco una volta si sedevano qui, si rilassavano nell’acqua termale, sorseggiavano vino… mancherebbe solo una cosa per rendere il momento perfetto, una gazzellina!’, COSA CAZZO HO APPENA SENTITO?! Una gazzellina? Lo ha detto davvero?! Ma come una gazzellina? Intende quello che penso io??volubilis marocco viaggio
Si, intendeva proprio quello. E lo ha detto, senza perdere nemmeno per un secondo tutta la sua classe.
Stessa cosa, quando siamo arrivati sulle rovine di quello che era il bordello della città, e dove ha convinto un turista (ovviamente italiano) a toccare il calco fallico che si trovava proprio tra le rovine (non chiedetemi perché si trovasse li, ma d’altronde era un bordello). Beh il malcapitato, convinto che avrebbe portato fortuna, lo ha toccato davvero. Quella vecchia volpe della guida, non ha battuto ciglio, ma dentro di lui so’ che stata ridendo, tantissimo. E io con lui.
Salutato il vecchietto, siamo risaliti in auto, direzione Meknes, dove avremmo dormito. Sulla città non mi soffermerò molto perché, esclusa la grande piazza centrale e il mercato tipico, non c’era molto da vedere. Il mercato comunque meritevole, soprattutto per il fatto che gli unici turisti presenti eravamo noi, quindi decisamente caratteristico.

Tour del Marocco: fes, Chefchouen, Moulay Idriss, Meknes, Volubilis e Bhalil

Mi soffermerò però sul Riad eccezionale dove abbiamo alloggiato. Riad a gestione familiare, gestito per l’appunto da una coppia di autoctoni e dalla loro famiglia. Sinceramente, descrivere la bellezza del posto, credo sia pressoché impossibile… meknes marocco riadL’ingresso enorme, i divani in stile arabo, il solaio altissimo, le piante rampicanti sui muri, addirittura gli uccellini che si appoggiavano ai corrimano delle scale, ma soprattutto la cordialità e l’accoglienza dei due titolari, che appena siamo arrivati ci hanno fatti accomodare e ci hanno subito portato del thè alla menta appena fatto. Per poi accompagnarci a vedere le nostre stanze, anche queste curate in ogni minimo particolare. Eccezionale.  (Riad Bahia, Meknes)
Per la cena ci sono state proposte due opzioni; la prima, uscire e mangiare qualcosa alle bancarelle del mercato, la seconda mangiare in Riad. Ora, io generalmente in una scelta del genere avrei sicuramente scelto il mangiare qualcosa di locale in una bancarella a zonzo per il mercato, ma non quel giorno.
Appena messo piede in Riad, la prima cosa notata è stata la cucina a vista, una classica cucina, in mattoni e sicuramente vissuta, dove intente a ‘trabaccare’ c’erano due signore anziane, presumibilmente le nonne di famiglia.

meknes riad marocco cucina

ph. Carlo Zanetto

Tour del Marocco: fes, Chefchouen, Moulay Idriss, Meknes, Volubilis e Bhalil

Quindi alla domanda di Lisa, se volessimo mangiare fuori o se invece preferissimo mangiare qualcosa di cucinato proprio dalle signore di casa, la risposta è stata nettissima, senza nessuna esitazione. E mai scelta fu più azzeccata. D’altronde se un turista vi chiedesse un consiglio su dove mangiare qualcosa di tipico e voi aveste la possibilità di fargli assaggiare la cucina di nonna.. che fareste? Ecco appunto.
Cena deliziosa. E un’ospitalità ancor di più.

Purtroppo però dopo cena, la giornata intensa iniziava a farsi sentire, quindi dopo un paio d’ore di chiacchiere, tutti a nanna.

Meknes, 02 Ottobre 2018

meknes Fes colazione marocchina Marocco
Ovviamente, se la colazione in tutti i Riad è stata qualcosa di meraviglioso, in questo lo è stata ancora di più. Quasi quasi mi sarei fatta un’altra giornata lì, solo per rimanere incantata a girarmi intorno per il Riad sorseggiando Thè alla menta. Ma no, la giornata prevedeva altrettante tappe, che ero ben curiosa di visitare. Quindi daje, tutti in macchina!

Prima tappa: Ifrane. Unica peculiarità; il fatto che non sembra per nulla di essere in Marocco, è chiamata la Svizzera del Marocco. Comprensibile; pulizia impeccabile, aiuole tagliate a regola d’arte, chalet in tipico stile alpino (…?…) e soprattutto case con il tetto spiovente, cosa che non si vede spesso in Marocco. Per non parlare poi del fatto che ad un certo punto della passeggiata per la città, abbiamo trovato un mucchietto di neve/ghiaccio…superstite da una nevicata recente, giuro, era neve!! Quindi si, a pochi passi dal vero Marocco, c’era la vera Svizzera.
Seconda tappa: Azrou, o meglio abbiamo semplicemente fatto visita ad una colonia di scimmie. Libere, ma totalmente abituate ai turisti e ovviamente consce del fatto che ogni giorno qualcuno porti loro un po’ di cibo. Sicuramente bello vederle da vicino, ma tappa non indispensabile a mio parere. Anche se alcune erano così cariiiine!Terza tappa: Bhalil, ecco questa città racchiude tutto ciò che io davvero mi aspettavo di vedere in Marocco. E’ la città dei bottoni e lo potrete facilmente intuire dal fatto che fuori da ogni casa, o sedute in qualche angolo, le signore del paese, sono intente a confezionare bottoni (a velocità supersonica tra l’altro) , da cucire poi su Caftani e Djallaba.djallaba marocco bahlil
Bellissima l’atmosfera che si respira, dovuta soprattutto al fatto che non ci sono turisti, forse forse uno a settimana e probabilmente solo perché si è perso. Splendide anche tutte le case, incastonate nella roccia, essendo un paesino di montagna. I bambini che giocano. Le signore anziane, dall’aria saggia che si fermano a chiacchierare con te e tu vorresti capire cosa ti stanno dicendo ma non capisci una mazza.. annuisci e basta.

Tour del Marocco: fes, Chefchouen, Moulay Idriss, Meknes, Volubilis e Bhalil

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E poi il Thè alla menta. Si lo so ancora, ma vi assicuro che se vi portano nel salotto di una casa locale, seduti intorno al tavolo e un passo alla volta vi mostrano tutta la tradizione che c’è dietro ogni tazza di quel thè, vi assicuro che non vi andrà in disgrazia facilmente…

Ultima tappa, forse la più importante e anche la più turistica. Quella che il primo giorno non mi aveva convinto particolarmente anzi, ma che ora aveva forse qualche possibilità di recuperare. FES.

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Siamo arrivati, giusti in tempo per farci una doccia veloce e uscire poi a cena, eravamo tutti stanchi, ma era una serata troppo bella per sprecarla a dormire presto, quindi dopo la cena abbiamo approfittato della bellissima terrazza del Riad, dalla quale si poteva avere un panorama mozzafiato di tutta la città in modalità notturna… e per due ore buone, siamo rimasti lì, a raccontarci storie di vita e di viaggi. E a goderci tutti i rumori della sera a Fès.

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https://www.instagram.com/carlo.zanetto/

Fès, 3 Ottobre 2018
Avevamo il volo di ritorno nel tardo pomeriggio, quindi avevamo un’intera mattinata da dedicare alla visita guidata per Fes (‘’Come visita giudata?? Nooo che palle?’’ E invece no, anche io pensavo… invece è stato decisamente meglio così, primo perché girare da soli per la Medina di Fes equivale al perdersi dentro un labirinto, e secondo perché visitarla con una guida locale, al quale rompere i coglioni con domande a volte anche indiscrete (tipo sull’omosessualità, o sul tradimento o su altre cose non proprio ben viste o delle quali parlano volentieri), è decisamente soddisfacente, ti da la sensazione di averla vista e vissuta al meglio che potevi).

Tour del Marocco: Fes, Chefchouen, Moulay Idriss, Meknes, Volubilis e Bhalil

Ebbene si, confermo quello detto all’inizio; Fès è una città che cambia dal giorno alla notte, trasuda cultura, e la medina con le sue bancarelle di qualsiasi tipo è qualcosa di eccezionale da vedere. E’ caotica, rumorosa, piena di odori e profumi. E poi i colori… colori ovunque. Nessuno di noi è abituato a così tanti colori tutti assieme.
Le botteghe di artigiani, i sarti, i forni, le persone intente a fare la spesa quotidiana… questo è il Marocco.
Una delle mete più ambite per i turisti che visitano Fès, restano sempre le concerie. Uno spettacolo a dir poco inconsueto e anche un po’ nauseate (odore terribile, ma mi aspettavo molto di peggio, invece è stato sopportabile, all’entrata comunque vi muniscono di un rametto di menta da sniffare mentre osservate dall’alto).Fes pelle lavorazione
‘E’ uno sporco lavoro, ma…’ Ecco si questo è davvero uno sporco lavoro. Esiste da più di mille anni; lavoratori a gambe nude, immersi in queste cisterne piene di colori diversi, intenti a pulire, a tingere e ad asciugare le pelli. E’ davvero uno spettacolo.

fes lavorazione pelle

Solo così si può godere davvero di una città come Fès, venendo risucchiati letteralmente dal caos di strade e stradine della medina, ascoltandone i suoni e annusandone i profumi.

Spero di aver reso abbastanza l’idea, ma se così non fosse vi lascio con questo video, prodotto da Matilde , anche lei in viaggio con noi. Dove non sono arrivata io con le parole, magari vi arriverà lei con le immagini più belle. E se invece nessuna di noi due vi ha convinto, vi consiglio vivamente di visitare la pagina In Marocco con Lisa, di scegliere il tour che più vi ispira e di constatare voi stessi, quanto può essere incredibilmente affascinante il Marocco.

Se vi siete persi la prima parte del tour la potete ritrovare QUI

stoccolma metropolitana arte

Stoccolma (Di gioia) parte 2

Stoccolma (Di gioia) parte 2

Secondo giorno in quel di Stoccolma. (se per caso vi foste persi la parte uno la potete ritrovare QUI )
Appena tirate le tende della camera ci ha dato il buongiorno un cielo di un turchese imbarazzante, quindi fuori dalla stanza immediatamente.

Il programma prevedeva giro per (spè che devo controllare come si scrive…) Östermalmstorg, cioè la zona nord, quella commerciale, quella con il mercato coperto.
Tappa a mio parere obbligatoria.

stoccolma bicicletta

Mi sognavo salmone e polpette da quando eravamo partite. E poi tutto il pomeriggio a Djurgarden (una specie di Central Park svedese).

Quindi colazione con la solita tonnellata di KanellBullar, caffè e via.colazione stoccolma
Volevamo prendere le bici ma c’era un piccolo imprevisto che non avevamo calcolato prima di partire; UN FREDDO PORCO.
Quindi abbiamo accantonato l’idea della bici, almeno finché non avessimo trovato un H&M aperto e fatto scorta di strati su strati.

Solo che sti svedesi son tanto brutti da vedere quanto stacanovisti. E l’orario di apertura dei negozi andava dalle 10.30 alle 16.30 del pomeriggio.
EHH! APPUNTO.

Cioè lo shopping hai 4h per farlo, un Gin Tonic ti costa 19 € e in inverno è sempre buio, per forza c’è il tasso di suicidi più alto del mondo. Sfido io…
Alla fine l’abbiamo trovato e abbiamo aspettato aprisse.

Breve giro di shopping e via per la città.
No ok non è vero, siamo state dentro almeno un’ora e mezza e siamo uscite con il necessario anche per un’eventuale giro in Siberia al ritorno. Sai te..

Stoccolma (Di gioia) parte 2

Comunque per quanto riguarda la moda scandinava devo dire che ‘I like it‘.
Ovviamente non mi fermo nemmeno a sottolineare il fatto che anche lì, come in tutto il mondo, eccetto che in Italia, a nessuno frega veramente nulla di come sei vestito.
Ma quello che davvero più mi è piaciuto, è il loro estetismo.

E non parlo solo del loro gusto nel vestire, che credo sia totalmente innato, non ricercato e non ostentato.caffe stoccolma design

Provo a spiegarvi meglio la sensazione che ho avuto.
Vi è mai capitato di trovarvi una sera a cena da soli a casa e di decidere di apparecchiarvi comunque la tavola, magari con una candela, un bel centrotavola, un bicchiere da vino di quelli del ‘servizio buono’ , aprirvi una bottiglia e godervi anche l’occhio un po’. Solo per voi.

O (questo più per le donzelle. E se non l’aveste mai fatto allora, dovreste.) di innamorarvi di un completino intimo e di comprarvelo, pur sapendo che non lo avrebbe visto nessuno all’infuori di voi. Si insomma di fare qualcosa per sentirvi belle, però solo per voi..

Ecco secondo me loro sono così. Sono esteti, curano loro stessi, così come curano la loro città. Solo per loro, per i loro occhi, per andarne fieri.

‘Ah la Svezia, la patria del design’, beh si… anche io l’ho sempre associata all’IKEA, a quei legni laccati e a tutti quei mobili dai nomi impronunciabili.
E invece no, quell’espressione credo di averla capita realmente solo una volta arrivata là.

Là il design si respira. E’ ovunque. Non sai mai se stai guardando un negozio di mobili, una galleria d’arte o un semplice bar.ikea
E’ tutto ordinato.
E’ tutto funzionale.
Loro sono ordinati e funzionali.

Stoccolma (Di gioia) parte 2

E’ tutto come nei cataloghi IKEA, dove tutto, anche l’immagine di una tazza lasciata per terra accanto ad un giornale per dare l’idea di vissuto, in realtà non è casuale.

Stoccolma è così. Mai casuale.

stoccolma panorama Skansen

Ammetto comunque, che è difficile spiegare Stoccolma e gli svedesi sotto questo punto di vista.
E per questo motivo ammetto anche che, seppur splendido, sono rimasta un po’ delusa dal mercato coperto. Si perché mi aspettavo un classico mercato alimentare,
quel mix di bancarelle, profumi, colori..
Invece in pieno stile svedese, era tutto perfettamente e schifosamente perfetto.mercato stoccolma Östermalms saluhall

Eh vabbè c’era da aspettarselo.
Ci siamo arrivate dopo lo shopping, quindi all’incirca alle 11.30.
Già dopo mezzo giro, avevamo la bava alla bocca. Almeno 3 giri per scegliere dove e cosa mangiare.
Prezzi incredibilmente alti ma ragazzi oh, per occhi, bocca e anima.

Dopo il pranzo abbiamo dovuto camminare un bel po’ per smaltire il tutto, ma poco male perché come vi dicevo avevamo in programma di passare il pomeriggio a Skanses.

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Una sorta di parco/museo all’aperto, dove oltre allo zoo si può rivivere l’atmosfera della Stoccolma di una volta.
Non sto a soffermarvi sul parco o sullo zoo, indubbiamente molto carini da vedere, il parco sicuramente di più.

L’unica cosa che mi sento di dire è che la vista migliore di Stoccolma è là.
Lo dico senza riserve proprio.

Inoltre sulla cima del parco si trova una ‘locanda’, con tavolini fuori, con vista mozzafiato e torte ancora meglio.. FIKA obbligatoria là. Ma che ve lo scrivo a fare!?

stoccolma fika skansen

Il resto del pomeriggio l’abbiamo passato sempre dentro il parco a girare in bicicletta. Piste ciclabili larghe, laghetti, animali liberi, qualche villa nascosta tra gli alberi che ogni tanto si lasciava intravedere…

Mia sorella non era molto d’accordo, ma c’è poco da fare, l’essenza di Stoccolma è proprio quella… e se non apprezzi tutto questo, allora non te la meriti.

Ovviamente ora di sera eravamo veramente stanche, ma era anche venerdì sera. Il minimo che potevamo fare era uscire a dare un’occhiata alla movida svedese.

C’abbiamo provato quantomeno. Abbiamo optato (spinte dalla casualità, ma soprattutto dalla fame), per un tipico pub. Era veramente stra colmo, ma sono comunque riusciti a trovarci un posticino.

Hamburger gigante per lei e polpette con purè e salsa di mirtilli rossi per me. Potrei dire che erano veramente buone, ma dovrei anche dire che avevo veramente fame, e quindi non saprei dirvi con certezza dove sta la verità.
Non solo comunque. Ci siamo beccate anche un concertino live. Eh si!

Erano partiti anche bene con del sano rock anni ’70. Ma ad un certo punto la serata è degenerata seguendo il flusso alcolico dei presenti e sono partiti con canzoni tipiche svedesi compresa la loro versione di ‘Nella vecchia fattoria‘.

Siamo rimaste un bel po’ ad osservare lo svolgersi della serata, anche perchè non avevamo alternativa. La musica era talmente alta che non riuscivamo a sentire nemmeno i nostri pensieri e il wifi non andava. O meglio andava, ma per lo stesso motivo per cui non riuscivamo a sentire i nostri pensieri, non siamo riuscite a sentire la risposta della cameriera alla domanda ‘Ma la password del wifi?‘, per ben due volte. Chiedere di ripeterla una terza volta ci avrebbe fatto passare da ritardate. Si ok sarebbe stato vero, ma…

In ogni caso, prima che la situazione degenerasse ulteriormente e ci tirassero in mezzo alla pista per i balli di gruppo, siamo scappate.

Anche perchè il giorno dopo ci aspettava il giro per i Fiordi.

E ormai la testa era già là..

stoccolma fiordi

new york viaggio sola

Viaggio da sola a New York (part.5)

Ancora a New york, le proposte di matrimonio e l’NBA

(parte 4 QUI) Penultimo giorno di New York per me, ultimo articolo per voi.

Tristi? Beh lo ero anche io. Parecchio anche. New York non è una città che ti passa dentro senza lasciarti nulla.

Ma un po’ come quando mangio qualcosa e lascio la parte più buona sempre per ultima, anche con New York ho fatto lo stesso.

Mi sono alzata con un po’ di tristezza addosso. Non volevo tornare. C’avevo preso gusto.

L’aria ghiacciata appena uscivo la mattina, il bicchierone di caffè che mi scaldava le mani, la gente sempre di fretta, l’alzare la testa per vedere il cielo sopra i grattacieli e capire che tempo ci fosse… ero ancora là, eppure già mi mancava.

C’era ancora una giornata davanti però, quindi dai.

Per l’ultima colazione sono tornata da Perishing Square (fronte Grand Central), non potevo andarmene senza aver rimangiato quei pancakes spaziali.pancakes new york perishing

Stavolta però banana e scaglie di cioccolato, solito burro da sciogliere sopra, caffè e succo. Ho mangiato tutto.

92 minuti di applausi dal parte del mio colesterolo.

Volevo far scorta per tutto il giorno, per non sprecare poi tempo mangiando a pranzo.Volevo godermi New York e basta.

Che poi pensandoci, anche godermi quella colazione, in quel posto, senza pensieri… faceva parte del godermi New York.

Era una splendida giornata e c’era una cosa che ancora non avevo fatto. Salire sull’Empire. Vamos allora!

86esimo piano. Un’ora e mezza di fila. Mi sono sembrati un’eternità. Sia i piani, che l’attesa.

empire tramonto

Però…

Sembra una frase fatta, ma effettivamente pareva di essere in cima al mondo. D’altronde sei in cima all’Empire State Building a New York, non sul campanile della chiesa di Poggibonsi. (Con rispetto ovviamente).

Comunque io ero li che giravo, facendomi i fatti miei, in cerca di un posticino per godermi lo spettacolo da sola (che suona tanto come metafora di vita).

Riflettendo sul fatto che magari sarebbe stato più bello, condividere tutto quello con qualcuno.

O magari anche no.

Alla fine, ho trovato un posto vicino ad una coppia di ragazzi, 20enni al massimo, che si stavano sbaciucchiando. Questo mi ha portato a protendere per il ‘Magari anche no’ nella mia riflessione.

Ma comunque, ad un certo punto il ragazzo si è girato verso tutta la gente che c’era, richiedendo l’attenzione di tutti. Si è inginocchiato e ha tirato fuori una scatolina nera.

L’ha aperta di fronte alla ragazza, che è ovviamente scoppiata a piangere, in mezzo agli applausi della gente. (Quando si dice ‘vincere facile’)

Beh, io in tutto ciò ero ancora li a fianco eh! (Se la metafora della mia vita non vi fosse ancora abbastanza chiara.)

Scuotendo la testa e dicendo ‘Cupido, bel tentativo, ma ci vuole ben altro per convincermi.

Sono cinica si, ma voi non avete visto quell’anello, era veramente orrendo.

Quindi ho abbandonato la coppia felice e ho finito di godermi il mio panorama in solitaria.

Tornata nel mondo reale mi sono diretta verso Brooklyn.

Eh si perché quel giorno era il ‘GAME DAY’, ovvero avevo la partita da andare a vedere. E ormai non riuscivo piu a pensare ad altro.

Oltre alla classica passeggiata sul ponte di Brooklyn, che tanto fareste comunque anche se vi dicessi di non farla, fatevi anche tutta la Brooklyn Heights Promenade (camminata che costeggia il fiume, con vista sulla parte bassa di Manhattan).

Poi ovviamente addentratevi e perdetevi per Brooklyn.

brooklyn quartiere viaggio new york

Alle 19.30 aprivano i portoni del Barclays Center. Arena nuova di pacca, dei Nets ovviamente. No non sono andata al Madison, perchè ci giocano i Knicks. E a me il basket piace.

Alle 18 io ero già là ad aspettare.

Alle 19.40, cioè con 77 minuti d’anticipo sul fischio d’inizio io ero già seduta al mio posto. Ovviamente in piccionaia, perché quel poveraccio di Jay Z non mi aveva tirato fuori l’accredito per farmi sedere tra lui e Beyonce a bordocampo.

Aldilà dell’ovvia trepidazione, (simile solo a quella che ho la mattina di Natale) per la partita, il mio anticipo era dovuto al fatto che speravo di riuscire a fare qualche foto nel pre partita. ILLUSA.

Quell’arena è inespugnabile, c’erano più steward che posti a sedere.

Vedevo la gente a bordocampo fare foto con Tim e con Manu. E io cosi:

barclays center nets spurs new york

Ma stavo per vedere Spurs-Nets, al Barclays, niente poteva abbassarmi il morale.

Non mi mancava nulla: partita in diretta, 20$ di bibita e popcorn , tifo indiavolato e abbraccio con i ragazzi texani che mi erano seduti vicino, quando hanno scoperto che venivo dall’Italia per vedere gli Spurs.

Diciamo che vedere la partita dal computer, in piena notte, nel buio della mia camera, con le cuffie, è leggermente diverso da com’è stato quella sera.

Il basket fa’ solo da contorno.

Cinque piani di ristoranti/baracchini per scegliere cosa mangiare durante la partita, cheerleaders,  kisscam, dancecam, popcorn e bicchieri che volavano ad ogni canestro di Teletovic, cori… Non sarei più andata via.

E in effetti qualcuno deve avermi ascoltato, perché c’è stato l’overtime. P A Z Z E S C A.

Nonostante sia stata la prima ad arrivare, sono stata comunque l’ultima ad andare via. Come al cinema quando un film mi è piaciuto e sto fino alla fine dei titoli di coda. Non volevo proprio alzarmi.

Purtroppo era finita. Ed essendo passata la mezzanotte, tecnicamente era anche finita la mia vacanza. Sono tornata in albergo, respirando a pieni polmoni tutta quell’aria di New York. Come dovessi farne scorta.

La mattina seguente avevo solo mezza giornata a disposizione e senza il minimo dubbio l’ho passata a Central Park.

Mi ero anche ripromessa di andarci una volta per fare jogging, ma il mio livello di sportività è non sapere nemmeno come si scrive jogging… e poi non ci vado nemmeno a Padova. Quindi dai facciamo i seri!

In ogni caso, cappello, sciarpa, musica nelle orecchie e noccioline per scaldarmi le mani (si lo ammetto, anche per gli scoiattoli. Ma era più forte di me, sono così cariniii) e via a scoprire gli angoli più nascosti del parco…

Nel tragitto in taxi dall’albergo all’aeroporto, ho sentito gli occhi riempirsi. Forse c’era troppa New York dentro e non c’era più posto per le lacrime. Beh, almeno una ne è scesa sicuramente.

Non ero triste. Non ero nemmeno felice. Ero tutto.

E un po’ come ho capito a Parigi, era quella la sensazione alla quale puntavo quando ho deciso di iniziare a viaggiare…

new york viaggio sola

C’ho provato, ma non potevo raccontarvi tutto ciò che ho visto, fatto e provato in quei giorni. Vi ho risparmiato la visita al negozio di giocattoli di ‘Mamma ho perso l’aereo‘, lo zoo di Central Park, la sua pista di pattinaggio, il mio perdermi almeno due volte al giorno sbagliando treno in metropolitana… e potrei continuare..

Ma magari qualcosa la tengo solo per me.

Però per qualsiasi dritta o consiglio vi rispondo molto più che volentieri.

Ah ovviamente non era necessario, ma come vi dicevo, quando un film mi è piaciuto rimango seduta al cinema fino alla fine dei titoli di coda… anche per godermi tutta la colonna sonora.

Quindi per chi vuole, lascio anche un po’ della mia di colonna sonora, fatene buon uso:

Sixpence None the Richer – It came upon a Midnight Clear

Sara Bareilles e Ingrid Michaelson- Winter song 

The Rescues- All I want for Christmas

Pentatonix – Little Drummer boy

Lily Allen – Somewhere only we Know

Tom Odell – Real Love

Da Nuova York è tutto. Ci si becca al prossimo check-in no?

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Viaggio da sola a New York (part. 3)

Ah ma siete ancora qua a leggermi? (QUI la parte 2) Io speravo di potervi raccontare tutto in poche righe. Ma proprio non ce la faccio… Non odiatemi. Ma con New York è impossibile.

Ma torniamo a quel pomeriggio. Dove mi avevate lasciata? A vagare per Central Park sicuramente…

Ecco beh, dopo quella della biblioteca, arriva la seconda idea geniale della giornata: andare ad Harlem a vedere il Rucker Park. (Per chi non mastica basket, è un campetto storico che volevo vedere assolutamente).

Essendo ad Harlem, mi era stato detto ‘Vai tranquilla, è come la stazione di Padova, se ci vai di giorno non c’è nessun problema!’. E andiamoci di giorno allora.

A piedi era infattibile, in metro mi seccava essendoci il sole, prendiamo il bus quindi… Ogni 15 secondi una fermata, ogni 15 secondi saliva gente sempre meno raccomandabile.

Allora, premetto che non sono razzista ovviamente e che anzi Martin Luter King mi stava simpatico, stima proprio… ma ho visto fin troppi film per non sapere che fine fa’ una ragazza ad Harlem da sola.

Io ve lo giuro, dopo dieci fermate l’autista continuava a lanciarmi occhiate dallo specchietto del tipo ‘Ti sei persa o sei semplicemente idiota?’ e io rispondevo con le mie occhiate da ‘Entrambe le cose zio!’.

Verso le ultime fermate l’ansia aveva iniziato a salirmi. E non poco.

Già mi immaginavo come nei film, io rincorsa che scappo per quei vicoli strettissmi tra i palazzi in mattoni con le scale antincendio a vista, rovesciando cassonetti, fin quando arrivo in un vicolo chiuso da una rete che dovrei saltare per salvarmi… e li niente basta, mi arrendo perché non sono così agile. E allora Studio Aperto farà un servizio su di me, con i miei selfie più brutti… Ok basta scusate, a volte mi lascio trasportare troppo.

Comunque alla fine sono arrivata al capolinea, mi alzo per scendere con il cuore in gola e la vecchina di colore, seduta di fronte a me si gira e mi dice “Ma tu sei proprio sicura che dovevi scendere qua?”. Gelo nel sangue.

O mio Dio, morirò! Morirò e non avrò mai detto al tipo che mi piace, che lo amo.

Beh ormai dovevo scendere per forza. Scendo, ma del campetto manco l’ombra, mi guardo intorno, cerco con il telefono… Nulla. E adesso? Mi guardavano tutti. E sicuramente non perché io meritassi di essere guardata.

Sconsolata attraverso la strada per riprendere l’autobus e tornare indietro. Delusissima.  ED ECCOLO!

Mi sono seduta sugli spalti, quatta quatta, per non disturbare. Ma sono durata giusto il tempo di rendermi conto che mi mancava solo una grossa freccia luminosa sopra la testa che indicasse la presenza della classica ragazza bianca, vestita da collegiale, seduta sugli spalti a vedere una partita di basket amatoriale in una tra le zone più malfamate della città. FUGA!

Risalgo sul bus per tornare. L’autista era lo stesso dell’andata e quando sono salita mi ha guardata e ho capito che aveva trovato risposta alla sua precedente domanda. Sono idiota si!

L’ho salutato con un cenno di capo che spero abbia percepito come un ‘Che questa cosa rimanga tra noi due, grazie!’ e sono scesa sulla Fifth Avenue. La via dello shopping. Il centro del mondo.

Non credo di essere in grado di spiegare cosa possa essere per una donna, la Fifth Avenue. Soprattutto sotto Natale.natale a new york

H&m, Victoria’s Secret, Tiffany.. tutti uno dietro l’altro senza nemmeno darti il tempo di riprendere fiato da quello precedente.

So che i maschietti difficilmente potranno capire, ma è un po’ come per voi riverdere il gol di Roby Baggio in Italia-Cecoslovacchia o per i cestisti i 13 punti in 35”di T-Mac. Non so se ho reso l’idea.

Comunque dopo aver dato fondo alla carta di credito sono tornata in albergo. Secondo giorno e già iniziavo a pensare a come avrei fatto a far stare tutto in valigia.

Ma non era il momento di preoccuparsene. L’unica cosa a cui pensare in quel momento era farmi la doccia e andare alla ricerca di quel ristorante italiano nell’East Village, che mi avevano consigliato.

ALT! So cosa state pensando, “Questa va’ a NY e cerca ristoranti italiani”. No, non è come sembra. Non ci sono andata per la cucina, bensì perché mi avevano detto che avrei potuto incontrarci giocatori NBA.

Ed è vero, confermo! Solo che io sono andata a cena la domenica sera e Belinelli il lunedì invece. Perché non sia mai che i ‘𝓜𝓪𝓲𝓷𝓪𝓰𝓲𝓸𝓲𝓪’ mi lascino in pace almeno in vacanza.

(Marco, se mi leggi, ero io quella sera a farti fischiare le orecchie!)

Ma in ogni caso, come avviene sempre quando pensi di sapere cosa ti aspetta, l’universo ti lancia una palla curva. E quindi devi improvvisare. Sono arrivata al locale (Via della Pace), senza grandi aspettative. Convinta che avrei passato una piacevole serata, sorseggiando vino, seduta al bancone ad osservare lo svolgersi di una classica serata newyorkese.

Non avevo minimamente considerato l’ipotesi di poter conoscere qualcuno.

Entro in questo localino, piccolo, ma proprio quello che t’immagini di trovare a New York. Luci soffuse, piccoli tavoli con candele e atmosfera che ti fa venir voglia di sederti al bancone a raccontare i cavoli tuoi al barista. Bellissimo!

via della pace new york

Prendo posto al bancone si, ma con vista sulla strada.

Arriva subito il proprietario, un ragazzo di Roma, laziale fino al midollo e anche un po’ fuori di testa. Ma dopo i classici convenevoli tra connazionali, mi porta il mio bicchiere di vino e questo è bastato per starmi subito simpatico.

Ed è così che funziona no?! Tu sei li, seduta con in tuo bicchiere di vino, i tuoi pensieri, guardando fuori New York che si prepara per la serata e pensi che sei proprio dove vorresti essere, senza desiderare di più.

Finché non ti si siede un ragazzo vicino. Ordina da bere in italiano. E allora cominciate a fare due chiacchiere.Il bicchiere di vino si trasforma in una bottiglia.Le due chiacchiere si trasformano in una conversazione. E la piacevole cena tranquilla si trasforma in «Cavolo ma sono quasi le 2 e mezza?!».

Lo so è incredibile. Ma la vita a volte ha questa capacità di sorprenderti proprio quando ti aspetti che più nulla possa riuscirci.

Sarà stato il vino, New York o la mia solita incoscienza, fatto sta che ho acconsentito che mi riaccompagnasse in albergo. Anche perché è vero che New York è una città parecchio sicura, ma avevo la netta sensazione di aver consumato tutta la mia dose di culo mensile ad Harlem al pomeriggio. E non volevo rischiare.

Il vino comunque ha avuto la meglio e quindi in metropolitana ci siamo baciati. Per tutto il tragitto a dir la verità.

Ed è li che ho finalmente capito cosa intende la gente quando dice «Eh ma se vuoi veramente imparare una lingua nuova devi andare all’estero.»

In ogni caso è stato molto gentile e carino per tutta la sera, ma non abbastanza da convincermi a lasciargli il numero. Quindi ho voluto fare la misteriosa del tipo «Se vorrai, in qualche modo mi ritroverai comunque», ma che in realtà tradotto era “Ascolta è stata una bella serata, un limone non si nega a nessuno ma noi non siamo i protagonisti di Serendipity.  Addio”. E sono rientrata in albergo.

Sono crollata a letto, ripetendomi “Fa’ che domani non me lo ritrovi davanti all’albergo! Fa’ che domani non me lo ritrovi davanti all’albergo! Fa’ che domani non me lo ritrovi davanti all’albergo!”.

La mattina seguente, a parte un epico mal di testa da vino, non ho avuto sorprese. E potevo continuare la mia vacanza da eremita, in cerca della pace interiore.

Va bene, sto scherzando, non giudicatemi!

 Ma torniamo a New York City, perché anche se non sembra, ero solo al terzo giorno.

Non avevo programmato ancora nulla per la giornata, l’unica cosa sicura era che avevo veramente fame.  Cercando un posto per la colazione, ne ho trovato un altro “So cute”. (‘Cafè Un, Deux, Trois’Segnatevelo. )cafe un doix trois new york

Avevo ancora un po’ di postumi, quindi colazione abbonante, aggiornamento del diario sulla sera precedente e… ho una nuova giornata davanti, cosa potrei fare?!

Intanto godermi la colazione, godetevela con me.. al resto ci pensiamo la prossima volta.

P.S.: Ah, alla fine sono sopravvissuta ad Harlem, ma il tipo che mi piace ancora non sa nulla!

per leggere la parte 4 QUI

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Viaggio a New York da sola (parte 2)

Dov’eravamo rimasti? Ah si, appena arrivata a New York.
Eh, vorrei tanto dirvi che ho messo giù la valigia in albergo e sono uscita per una prima esplorazione, ma no. Sono morta a letto. Si lo so, sono una sfigata.. appena arrivata a NY e vai a letto? Beh si.

Il Jet leg non perdona nessuno.

In compenso alle cinque di mattina ero sveglia. Sveglissima anzi. Si perché ho aperto gli occhi, entrava luce, mi sono girata verso la finestra e ho visto questo…

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Quindi ho realizzato dove fossi.
Ho realizzato anche che non mi sarei più riaddormentata, ero a New York checazzo! La città che non dorme mai, non vedo perché avrei dovuto dormire proprio io allora.

Però erano le cinque di mattina, dove cavolo potevo andare a quell’ora?!

Ho temporeggiato, recuperando la password per il wi-fi mi sono ricollegata al mondo, classici messaggi di rito ai miei per avvisarli che ero ancora intera, alle sorelle per fare invidia e a tutta facebook che altrimenti si sarebbe chiesta che fine avessi fatto, aggiornato il diario, breve ripasso del programma (Si avevo un programma! Ma per lo più erano posti dove mangiare, perché io i viaggi li organizzo così.) e fuori finalmente.

Messo piede fuori dall’albergo mi sono resa conto subito, marciapiedi larghi, strade ancora più larghe, odore di cucina cinese già alle otto del mattino, gente con biberoni di caffè in mano e fumo dai tombini…esagero? Giuro di no. Era davvero New York. Ed è incredibile perché non c’ero mai stata, ma al tempo stesso l’avevo già vista milioni di volte e nonostante tutto naso all’insù e bocca aperta per tutti gli otto giorni.

Il programma della giornata comunque prevedeva colazione da Starbucks (si lo so, è vergognoso, ma era il primo giorno e mi mancavano i loro muffin delle dimensioni del Canada) , poi visita a Madame Liberty, passando per Wall Street. Potevo prendere la metro, ma nelle città preferisco perdermi camminando e poi era una splendida giornata… no ok sto mentendo. Avrei dovuto fare l’abbonamento e c’ho anche provato, ma giuro su Dio che la metro di NY è un casino assurdo. Volevo evitare il primo giorno di salirci e ritrovarmi nel Bronx.E quindi ho optato per una passeggiata.
La mappa diceva che non era poi così distante. Beh sapete una cosa?! La mappa mentiva. E poi io non so leggere le mappe.

Ho camminato, parecchio, ma lo rifarei subito (solo strade interne, mai le principali, perché secondo me la vera città è quella), fino Battery Park, punto più basso della città, dove prendere il traghetto per Ellis Island.
Era il 29 novembre e sono scesa dal traghetto con le stalattiti che mi scendevano dal naso.. freschetto!

Su consiglio di amici ho evitato di scendere alla fermata della Statua, anche perché Madame Liberty è come Madame Gioconda. La loro fama è inversamente proporzionale alla loro dimensione. Dunque ci sono solo passata davanti e mi sento di inoltrarvi il consiglio. Ma al museo dell’immigrazione andateci.  Male non fa’.

Tornata da là, ho fatto un giretto in zona e poi shopping. Si era solo il primo giorno e c’era molto da visitare, ma sono una donna, ero a NY ed era sabato, che cosa vi aspettavate? Musei?!

Non mi soffermerò a raccontarvi dei negozi, perché potrei passare dallo scrivere un articolo allo scrivere un libro, senza nemmeno accorgermene, MA.. mi limiterò a dire AAAAAAWWWW. (faccina con gli occhi a cuore).

Torniamo a New York, finito lo shopping, mi sono avviata… Dove? Da nessuna parte ad essere onesta. Proprio a caso. E sempre a caso sono arrivata in un parco, posto perfetto per mangiare il pretzel che mi ero appena comprata.

4$ di pretzel, infatti credo di avergli detto ‘MECOJONI’ al posto di ‘Grazie’ quando me l’ha consegnato.
Ammetto che quel pretzel però poteva sfamare almeno tutto il terzo mondo, tant’è che l’ho smezzato con gli scoiattoli.

Ero incantata da quel parco, che poi ho scoperto essere City Hall Park. Non era niente di particolare in realtà, sarà stata l’aria di neve o il fatto che fosse circondato da grattacieli altissimi o per gli scoiattoli che rendono sempre tutto un po’ più fiabesco, fatto sta che se dovessi mai fare da guida a qualcuno, sicuramente lo porterei la a smezzare un pretzel in quel parco.

Alla fine sono riuscita a prendere la metro per tornare in albergo. Nel tardo pomeriggio, perché essendo sabato sera volevo poi uscire di nuovo per fare un giretto la sera. Quindi sono tornata, doccia veloce, aggiornamenti via whatsapp e.. ho preso sonno. Che amarezza, lo so. Ma a mia discolpa vorrei dire che era il jet lag, non sono sempre cosi.

Comunque è stato un errore madornale, mi sono ‘svegliata’ dopo due ore dicendo ‘Oibò ma in che epoca mi trovo?!’, quindi mi sento di consigliarvi: se mai doveste sentirvi stanchi al pomeriggio, CAFFE’, CAFFE’, CAFFE’, NON DORMITE! Indescrivibile la fatica che ho fatto per alzarmi, vestirmi e uscire.

Metropolitana fino a Time Square, sconsigliata a chi soffre di attacchi epilettici tra l’altro. Se devo essere onesta, non mi ha colpito granché. Caratteristica, sicuramente da vedere una volta, ma non è come te l’aspetti.time square new york
Sapete invece cosa mi ricordo bene di quella sera? Gli hot dog.  Spaziali. Però uno non basta, vi avviso già.

30 novembre
Secondo giorno, la storia si ripete, sveglia biologica alle 5.30.

Ho preso tempo e pianificato il programma. E per ‘pianificato il programma’ intendo dire che ho scelto un posto dove fare colazione. Volevo i pancake punto e basta. Beh fidatevi di me se vi dico che ho trovato IL posto dove mangiarli.
Precisamente Perishing Square, esattamente di fronte a Grand Central Station (che va’ vista).perishing square new york pancakes

Le recensioni consigliavano di prenotare, ma essendo da sola, ho detto ‘provo’e ciao.. non avrei neanche saputo come prenotare al telefono, mica per altro.
Effettivamente c’era una fila infinita di persone, stavo quasi per mollare ma visto che ero da sola hanno trovato un posticino subito.

PANCAKE E ATMOSFERA NATALIZIA

Nonostante il via vai pazzesco di gente e camerieri, l’aria era molto rilassata, natalizia e domenicale. Famiglie, coppie, turisti… e io. Da sola, come una povera stronza.
Ammetto che mangiare da sola all’inizio mi creava un po’ di disagio, quindi scrivevo, consultavo le cartine o chiamavo il servizio clienti Vodafone per far finta di avere almeno qualcuno che mi cercasse.  Poi grazie a Dio mi sono abituata e ho iniziato a occupare il tempo godendomi il momento e osservando quello che mi circondava…
Detto ciò, dopo il pain au chocolat di Parigi, questa è la colazione più buona che io abbia mai fatto. Premettendo che fosse per me mangerei ogni 15 minuti, vi dico solo che quel giorno non ho più toccato cibo fino alle 18 di pomeriggio. Mai ingerito cosi tanti zuccheri in vita mia.
Piatto di 4 pancake, grandi circa quanto un 45 giri, noce di burro da metterci in cima e da far sciogliere con una colata di sciroppo caldo, succo e una tazza di una sbrodaglia acquosa che mescolata al latte aveva un lontanissimissimo retrogusto di caffè.
Madonna mi sta aumentando la salivazione solo a ricordare.
Comunque era il primo pasto serio che facevo in un ristorante, quindi dovevo pagare e lasciare la mancia.

Eh, cosa ci vuole, direte voi? Eh non lo so, ma non l’avevo mai fatto e quindi mi ero perfino scaricata l’app. che mi diceva in base al conto quanta mancia lasciare per non fare la figura della poveraccia. (…)
Ti lasciano il conto, ci metti la carta di credito dentro, scrivi a penna l’importo della mancia che vuoi lasciare e loro si arrangiano. Taaac!

Pago, esco e mi dirigo rotolando verso la biblioteca pubblica, praticamente a due passi.
Che figata la biblioteca pubblica! Quella dove doveva sposarsi Carrie. Quella dove i Ghostbuster hanno avuto il loro primo incarico. Quella dove io sono arrivata ed era chiusa perché era Domenica. Quante bestemmie!
Ecco cosa vuol dire cercare i posti dove mangiare ma non controllare le aperture dei posti da visitare. Brava Michi!
Va beh, era comunque una bella giornata e non faceva freddo, quindi passeggiata fino al palazzo dell’ONU. La visita è andata più o meno cosi: ‘Ah è questo il palazzo dell’ONU. Ok visto’. Spallucce e via.

Forse anche perché con la mente stavo già pensando di andare a Central Park e non riuscivo più a pensare ad altro. Quindi sono andata verso.
Sono stata dentro a vagare senza meta per circa 3 ore, e ancora ritengo che siano state poche.central park autunno

Senza meta’ perché coincidenza vuole che tra le varie statue sparpagliate per il parco, l’unica che volevo davvero vedere (Balto), l’abbia trovata proprio appena entrata. Quindi il resto del tempo me lo sono goduto senza ricerche.
Ora, io vorrei veramente provare a raccontarvi cos’è stato per me quel parco. Come si è presentato, con quello strascico di colori di un autunno non ancora finito, con quella New York fatta di sterili grattacieli che lo circonda quasi a proteggerlo.. vorrei davvero raccontarvelo. Ma fidatevi di me se vi dico che non riuscirei.
Vi ricordate il sorriso di cui vi parlavo nell’articolo precedente? Quello che ho quando mi ricordo di essere felice.. Ecco a Central Park ne ho sfoggiato uno tra i miei più belli. E glielo dedicherei altre mille volte. Pazzesco!

Quello che successe più tardi quel giorno, ve lo lascio per il prossimo episodio. Non mi abbandonate perché da lì è cominciato il bello.
…. (PARTE 3)

New York City viaggio sola

In viaggio da sola verso New York City

C’è solo una cosa che serve quando ti ritrovi a 26 anni, di nuovo single e con un lavoro che per certi versi ti fa sentire in gabbia: un viaggio da sola.

Ed è così che ho cominciato. E’ così che ho deciso che il viaggiare (sola) sarebbe stata la mia priorità nella vita. Almeno per un po’.

E specifico ‘da sola’ perché è una scelta anche quella. Ho amici, ho avuto fidanzati e ho viaggiato anche con loro. Ma la sensazione che ho provato appena atterrata a Parigi o ad Amsterdam, la prima volta da sola, lontana da tutto ciò che mi era familiare, non l’ho ancora provata per nient’altro. Anzi si, è la stessa sensazione che ho quando le sere d’estate, giro in bici per la mia città, con la musica nelle orecchie e ogni santa volta mi scappa un sorriso.

E’ sempre stato così fin da quando ero piccola, ho scoperto col tempo cosa fosse quel sorriso, che veniva fuori spontaneo senza che me ne accorgessi, era felicità. Che a differenza della sofferenza o dell’ansia, dura giusto il tempo che tu te ne accorga.. Ecco perché chi non riesce a trovarla nelle piccole cose allora forse dovrebbe smettere di cercarla.

Ed è esattamente la stessa felicità che ho provato la prima volta che ho girato l’angolo in una calle di Venezia e mi sono resa conto di essermi persa (in una città che conoscevo a memoria oltretutto). La stessa provata a Montmartre mentre vagando senza meta, un ragazzo mi ha fotografata da lontano pensando fossi una parigina.

E quindi ogni anno c’è un momento, o un periodo, chiamatelo come volete, in cui mi dico ‘E’ ora!’ e comincio a pensare a dove andare. Troppi posti da vedere per una vita sola. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare..

L’ultima volta ho scelto una meta lontana, per niente turistica, la classica città dove ritrovare se stessi e un po’ di tranquillità: New York. Eh si!

Mi ero appena lasciata con un ragazzo che ci teneva tantissimo ad andare prima o poi. Io, come qualsiasi essere umano volevo vederla ovviamente…E il campionato NBA stava per iniziare (Si mi piace il basket, abbastanza.) Mi parevano motivi più che sufficienti.

Quindi ho iniziato, come faccio sempre, a informarmi.
Facendo zapping tra un sito e l’altro.
E ho iniziato anche ad avere un sacco di dubbi.
Il passaporto, i soldi, il clima, la lingua, l’assicurazione…


Ma ripeto, da qualche parte bisogna pur cominciare.

Quindi una spunta alla volta. Prima il passaporto.

Poi il periodo in cui andare. Beh quello è stato facile, c’era il mio compleanno, la ‘mia’ squadra giocava a Brooklyn proprio in quei giorni e in più accendevano l’albero di Natale al Rockfeller Center.

Poi l’assicurazione sanitaria. Ho letto molto al riguardo, stando via solo otto giorni era necessaria? E se poi non succede nulla butto cento euro che potrei spendere in shopping? Si però se mi succede qualcosa lì? L’ho fatta alla fine. Non è successo nulla ovviamente (Avete presente la maledetta legge di Murphy?Ecco..).

Poi la lingua. Ma con tutte le serie tv americane che guardo in lingua originale non avrò problemi figuriamoci.

E il jet lag.. Chissà se lo sentirò..
I soldi… devo cambiare i soldi. E quanti?
Oddio e il cellulare? Il piano tariffario? L’adattatore per il caricabatteria?
AH! Troppe cose da fare, non ce la farò mai. (consigli utili QUI)

E invece il 28 novembre 2014 alle 9 di mattina ero in aeroporto a Venezia, con un’ansia mista ad eccitazione pazzesca.

Viaggiare cambia le persone. Un viaggio da sola ti cambia la vita.

In aeroporto bisognerebbe sempre arrivare in anticipo, ma io proprio esagero. Mi piacciono gli aeroporti. E’ un po’ come quel punto in cui due binari diversi si incrociano per poi non incontrarsi più. Persone con storie diverse, che non sanno nulla l’una delle altre, ognuno con le proprie vite, che per caso, nello stesso giorno, alla stessa ora, nello stesso posto, s’incrociano. Per poi magari finire in parti opposte del pianeta.

Quindi come dicevo, mi piacciono. Mi piace arrivare la, bere il mio caffè, che non so come, ma ha sempre un gusto diverso dal solito, sedermi sui divanetti e osservare.. Osservare tutta quella gente, che non sai dove va’, o se lo sai non sai il perché.. e allora provi a inventarti quale potrebbe essere la loro storia. Sono strana si.

Poi però arriva anche il momento di imbarcarsi, e allora tutte quelle persone diventano in realtà una ventina che prendono il tuo stesso aereo e che siano due ore o quattordici di viaggio, quando scenderete ti sembrerà di conoscerli da sempre.

Era il mio primo viaggio oltreoceano, quindi il più lungo fatto. Avevo paura di annoiarmi, di non riuscire a dormire, di impazzire…

Invece dopo otto ore, seimila km, quattro film, un kitkat e una cena a base di polpette che credo di dover ancora digerire, sono atterrata.

Era quasi sera ormai, buio e l’idea di farmi un’ora di metro per arrivare in albergo non mi allettava e poi ero stanca morta. Quindi esco dall’aeroporto, ondata di aria gelida in faccia, ma era aria di New York.. e via a cercare un taxi.

E’ stato più facile del previsto perché c’è una postazione apposta davanti all’aeroporto, ci si mette tutti in fila e a turno, senza chiamarli, arrivano i taxi per tutti.

Il tragitto l’ho passato con uno sguardo ebete a osservare tutto fuori dal finestrino, ad ascoltare l’autoradio cercando di capire cosa dicessero. E no, non ci capivo nulla, infatti ho iniziato ad avere l’ansia della lingua.

Poi arriva il momento di attraversare il ponte di Brooklyn. Cercavo di realizzare, ma non ci riuscivo a credere ancora.

Ero veramente a New York. A New York… sola!

Mi è esploso un sorriso in faccia, che Joker può solo sognarselo. Sensazione che difficilmente riuscirei a descrivere.

…continua a leggere. ‘NEW YORK PARTE 1